[photopress:strami.JPG,full,alignleft]La domenica per il blog solitamente è giorno di riposo ma oggi l’eccezione vale come piccolo omaggio alla trentanovesima edizione della Stramilamo. Gara bella e ancora più bella sotto una pioggerellina gradevole e molto milanese.  Abbiamo corso come al solito in tanti. I cinquantamila della 10 chilometri, i più piccoli nella Stramilanina e i campioni in una mezza  maratona che ha visto il solito, annunciato, dominio keniano. Ha vinto Moses Cheruiyot Mosop in 59 minuti e 20 secondi seguito dai connazionali Silas Kipruto e Philemon Kimeli Limo. Ma la Stramilano 2010 l’ha vinta anche Alessio Sala, un atleta di 39 anni che da 22 lotta contro un tumore e che questa mattina ha coronato il suo sogno di correre una <mezza> su una hand bike. Una bella storia legata a filo doppio a quella di Philippe Gilbert, punta di diamante della squadra ciclistica della Tmc Trasformers di Busto Arsizio, ieri ottavo nella Sanremo dominata da Oscar Freire. A raccontarla ci ha pensat0 Pier Augusto Stagi  firma nobile del il ciclismo sulle pagine del Giornale che come al solito  lo ha fatto benissimo. I più maligni insinuano che Pier in bicicletta non abbia avuto una carriera agonistica spettacolare, ma quando scrive la musica cambia: è un finisseur che s’infila sempre nella fuga giusta. E vince.

Pier Augusto Stagi
Filippo e Alessio. Un belga e un italiano. Un corridore affermato e un ragazzo affamato: di vita. Uno abituato a lottare e l’altro abituato a non arrendersi mai, per nessuna ragione. Uno che proprio ieri ha corso la Milano-Sanremo piazzandosi nono alle spalle di uno scatenato Oscar Freire e l’altro che correrà con la sua gamba e le sue braccia prima la Stramilano di oggi e poi la Milanocity Marathon, con l’intento unico e inequivocabile di vincere la sua sfida personale a bordo di un hand-bike. Filippo e Alessio.
Due ragazzi che non hanno nulla in comune, se non la condivisione di un progetto, che uno ha lanciato e l’altro ha raccolto al volo. Così come la Tmc Trasformers di Busto Arsizio, teatro ideale di questo incontro, di questa rappresentazione, al cospetto di Roberto Damiani, tecnico del belga, che sa perfettamente cosa sia il ciclismo, cosa siano le maratone, ma soprattutto – da qualche anno – frequentando il settimo piano (reparto infantile, ndr) del centro tumori di Milano senza timori e senza esitazioni, ha appreso il significato profondo della solidarietà.
E allora eccoci qui a celebrare il momento della consegna di questa maglia di color rosa, con la scritta «Let’s stop Childhood cancer», con il logo dell’associazione l’Abbraccio qui rappresentata da Raffaele Gerbi e da sua moglie Daniela, che hanno avuto la disgrazia di provare il più profondo del dolori per aver perso un anno e mezzo fa quel piccolo pezzo di cielo di nome Thomas, di soli tre anni.
Filippo Gilbert è pronto a dargli consigli, a condividere con lui questa sfida, che non varrà la Sanremo, ma che per Alessio Sala, 39 anni milanese di Bresso, ex sottoufficiale dell’esercito, da 22 malato di tumore, vale tanto. Una gamba amputata, quattro recidive, anche al polmone. «È nato tutto così per caso ­ racconta lui, con ferma commozione -. La vita ti costringe a mille e più prove. Nella mia vita c’è anche questa nuova sfida, bellissima. Correre con l’hand-bike, per me, per chi mi vuol bene, per tutti quelli che si sentono persi e vinti, ma non è così. La mia sfida egoistica è concludere nel migliore dei modi la Stramilano di oggi, e poi concludere la Maratona di Milano l’11 aprile prossimo, ma la cosa principale è trasmettere un messaggio».
Filippo Gilbert ascolta rapito le parole di Alessio. «Se io sono forte? Alessio lo è. Sono loro che danno un esempio incredibile a tutti noi», dice. Alessio sorride, quasi pudico, e prosegue il suo racconto. «Da 22 anni sono abituato a non mollare, per nessuna ragione, altro che maratona ­ dice -. Mi alleno tre volte a settimana, al parco Nord e poi anche a casa, con un simulatore. Ho tabelle da seguire, fatte da Aldo Sassi del Centro Mapei Sport: torture in piena regola, ma che ti fanno toccare il cielo con un dito. Quattro ripetute di cinque minuti a 175 battiti: non è come dirlo. Bisogna saperlo fare. E farlo bene. Io ci riesco, ma che fatica. Perché ho scelto la strada dello sport? Perché aiuta ad allenare la mente.
Perché fa bene alla testa e ti fa sentire meglio. Me l’aveva detto l’amico Fabrizio Macchi, aveva davvero ragione. Poi un giorno Raffaele Gerbi, il professor Luigi Spreafico, mia moglie, Roberto Damiani mi hanno detto: facciamo qualcosa per noi stessi e per gli altri. Mettiamoci in moto. Ero un po’ giù, sfiduciato: mi sono lasciato prendere». E chi lo ferma più?