Si, lo so che non è la stessa cosa…ma mi piace pensarlo. Viale Papiniano a Milano come il Mont Ventoux  in Provenza dove si vince il Tour. Sulla circonvallazione come sul Monte ventoso  a luglio con trenta gradi e con quelle folate che sembrano Mistral e ti raffreddano l’acqua che ti sei appena versato sulla testa.  Due ali di folla, la strada che diventa sempre più stretta e tu lì in mezzo, in una passerella di applausi e manate sulla schiena che ti fanno dimenticare che sei al 34 chilometro della maratona più calda della storia della tua città, che hai i muscoli delle gambe che urlano e che non ne hai quasi più. Però acceleri. Non sai dove, ma  recuperi le forze per raddrizzare la schiena, allungare il passo e  togliere quella  smorfia di fatica stampata sul volto. Una magia. Una piccola magia che domenica hanno regalato le zone cambio delle staffette a chi correva la maratona. Uu fiume di gente allegra, vociante, incitante. Un fiume di atleti in attesa del cambio che si sono stretti attorno a chi i 42 chilometri li stava correndo per intero. Ed è stato il mio Mont Ventoux.  Come Armstrong, Basso o Contador. Come in una caldissima giornata francese di Luglio quando sudi, ti bagni e ti asciughi, quando su Raidue c’è Cassani che parla di maltodestrine e quando i gregari portano davanti  le borracce fresche a  decine infilate sotto le maglie . Ho corso a New York, a Roma, a Berlino con un sacco di gente che applaudiva ma non mi era mai capitato di passare tra due ali di folla che ti lascia una striscia di asfalto, che ti tende le mani per salutarti, che ti spinge… E domenica la maratona di Milano è stata anche tutto questo.