Gli organizzatori della Maratona di Boston non mollano. Non ci stanno a buttare nel cestino due primati del mondo. E così sottoporranno alla Iaaf, la federazione internazionale dell’atletica leggera, il record mondiale stabilito  da Geoffrey Mutai, che ha vinto la gara in 2  ore, 3 minuti e 2 secondi seguito a tre secondi dal connazionale Moses Mosop lui pure sotto il record del mondo di Gebre.  La disputa è tutta tecnica. Le regole Iaaf dicono che la corsa di Boston non può portare record in quanto tecnicamente è una gara in discesa con un valore negativo di oltre tre metri per chilometro che supera il limite fissato a un metro per chilometro. Inoltre quella di Boston è una gara in linea e anche qui ci sarebbe un’irregolarita visto che le norme internazionali stabilliscono che la distanza tra partenza e arrivo in linea retta non debba superare i 21 chilometri. Ma gli organizzatori di Boston affermano che i 115 anni di storia della gara dimostrano che non si tratta di una gara veloce, che il percorso è più duro di altre maratone, più selettivo e più ondulato tant’è che al 32mo chilometro c’è anche una salita che chi corre chiama Hearthbreaker hill, la collina spezzacuore. A sostegno delle loro richieste si chiedono  perchè allora i tempi della loro gara sono ritenuti validi per le qualificazioni olimpiche e mondiali e finiscano regolarmente  nella lista delle migliori prestazioni all-time.  Battaglia perta quindi. Se ne discuterà e verosimilmente si arriverà ad una soluzione che personalmente credo sarà quella già presa e cioè di non omologare il doppio record. Ma le domande secondo me non sono finite. La garà fantascientifica di Boston, con due atleti finora quasi sconosciuti ed uno dei quali al debutto sui 42 km, che vanno di quasi un minuto sotto il primato di Gebreselassie, cambia la prospettiva sui nuovi limiti dei maratoneti. Mai, che mi ricordi, un record è stato “limato” negli anni così nettamente. Merito della discesa, del vento, di una condizione psico-fisica perfetta, di un errore tecnico? Vedremo.