L’ingegner Marco Pinotti è la prima maglia rosa del Giro d’Italia 2011. La sua Htc Highroad è stata la più veloce nella crono a squadre che sui 19 chilometri e 300 metri che portano dalla splendida Reggia di Venaria a piazza Vittorio ha fermato il crono un secondo prima dei 21 minuti. Una gruppetto di missili.  Applausi all’ingenere ma oggi lo spazio è per la mia squadra di <peones> . Quelli che hanno aperto la strada ai prof e che qualcuno del pubblico deve anche aver confuso con i prof visti gli applausi.  Quelli che nella <padalata aberrante>, come l’ha definita scherzando patron Zomegnan, partivano per secondi. Quelli che con una bellissima maglia nera  dedicata a Livorno e alle città che hanno fatto i 150 anni d’Italia, sembravano tanto il TeamSky. Forse anche in omaggio a Giovanni Bruno che della tv di Murdoch è volto e voce  e che oggi pedalava a tutta ed è rimasto attaccato a oltre 40 all’ora fino alla fine, fino all’ultimo respiro.  Quelli che il capitano Stefano Allocchio, che anni fa vinceva le volate e ora è uomo Rcs, voleva tenere uniti e invece ha sparpagliato con una <menata> al pronti via. Quelli come Luca Menchini e  Stefano Pezzini, ” Bruse” e “Van Pettegem” del Max Lelli team, che hanno tirato come due scooter  ma poi han dovuto anche frenare se no si perdevano il resto della truppa. E quelli che hanno sudato, han provato a stare attaccati,  a resistere, si sono persi e  alla fine comunque sono arrivati, felici e tra gli applausi del pubblico che aspattava i campioni . “Fight for Pink”, combatti per il rosa,  una corsa nella corsa per chi sulla bici ci va per passione e per un giorno è autorizzato a sognare. Ma una gara vera. Sugli stessi chilometri di Nibali e Contador, con le le stesse curve e le stesse rotonde, con le staffette della Polstrada,  i clacson delle auto dei cambio ruote che annunciano che stai arrivando. Con le transenne, gli sponsor e gli applausi:  oggi tantissimi perchè Torino era invasa dagli alpini che il ciclismo ce l’hanno nel Dna perchè sono gente di montagna. Una festa dove il fair play dura lo spazio di un amen,  perchè lo capisci guardando le bici e le gambe depilate di molti che faranno tutti tremendamente sul serio. E così facciamo anche per noi,  quasi da subito. Tutto di un fiato, attaccati alle ruote di chi ti sta davanti che ogni tanto traballano sui lastroni di pavè, sui binari e sui dossi dalle parti della stazione; cercando di dare i cambi anche se sopra i 40 all’ora non è una passeggiata; provando a stare nella scia di chi taglia le curve come faceva Savoldelli  che oggi compiva 38 anni e che, con Francesco Moser, stava recuperando alle nostre spalle. Ma non ci prendono.  Siamo  la prima squadra a tagfliare il traguardo e credo la terza sul podio. Ventisei minuti per arrivare in fondo. Ventisei minuti per sentirti un po’ come Pinotti o Cavendish che partivano dopo e che ci mettono solo cinque minuti in meno. Ventisei minuti con il cuore in gola e le gambe gonfie. Ma volati via…