Chissà come ci è finito Marko Cheseto in Alaska. Lui, ventottenne  keniano degli altopiani, nella terra dei ghiacci dove si corre quasi sempre con i cani da slitta e quasi sempre alla ricerca di un limite da spostare più in là. Ma è strana la vita. Se davanti a te ci sono antilopi più veloci e imprendibili in maratona allora tocca correre da qualche altra parte. Per cercare fortuna o per vivere. E Marco Keseto, da qualche anno, aveva scelto Anchorage e la facoltà di infiermeristica e nutrizione dell ‘Alaska Univerisity per garantirsi un futuro. Anche se il suo presente restavano ancora  le corse, le campestri soprattutto, dove da queste parti  tornava ad essere un’antilope imprendibile. Veloce quanto bastava per  sentirsi campione, per vincere una serie di titoli studenteschi e firmare il record nella mezza maratona Anchorage Mayor’s. Ma forse non bastava. E infatti negli ultimi  mesi qualcosa si rompe. Soprattutto dopo che a febbraio, come riporta la Bbc,  William Ritekwiang, suo amico fraterno e  lui pure corridore si uccide non si sa perchè.  E così Marco Cheseto deve cominciare a fare i conti con quel malessere invisibile che è la depressione. La sua storia si ferma il 7 novembre , quando sparisce senza dare una spiegazione. Inghiottito da un’improvvisa tempesta di neve che nella terra dei ghiacci spesso non ti lascia scampo. Lo ritrovano due giorni dopo. E’ messo male, malissimo. In completo stato di ipotermia ha mani e piedi congelati: i medici che lo prendono in cura gli salvano le mani ma per i piedi non c’è  niente da fare. «Quando l’abbiamo trovato – raccontano – non gli abbiamo potuto togliere le scarpe perché erano attaccate ai piedi a causa del gelo».  Viene amputato ma non si arrende, reagisce: «Farò del mio meglio per ridare qualcosa alla comunità che mi ha aiutato così tanto – fa sapere dal suo letto d’ospedale -. Mi scuso sinceramente per tutti i problemi che ho causato». Non è la fine di una corsa, sarà una nuova corsa.