Le bici da corsa non fanno rumore. Quando passano senti solo un fruscìo, annunciato dal clacson dell’ammiraglia e dagli applausi di chi sta a bordo strada ad aspettare. Poi è un amen. Sfilano e svaniscono perchè a 50 all’ora passar via è una attimo. Da piazza Piemonte a piazzale Baracca oggi Milano era tutta una transenna. E dentro quei 30 chilometri di cronometro uno spagnolo e un canadese si giocavano la maglia rosa. Ha vinto Ryder Hesjedal per 16 secondi su Purito Rodriguez che dopo oltre tremila chilometri di sudore e fatica sono davvero un niente. Ma la cronaca è quella di una città che si è fermata ad applaudire. E fa un certo effetto vedere sfrecciare ad un metro le stesse facce che ieri erano sul Mortirolo e sullo Stelvio. Non è così, ma sembra non facciano neppure fatica. Le bici, le ruote in carbonio, le appendici sul manubrio, i caschi da astronauta e i colori dei body attillati come una seconda pelle. Chi ha la passione si lustra gli occhi, chi non capisce resta affascinato lo stesso. E applaude. E’ la magia di un giro senza acuti, senza italiani sul podio e senza l’epica delle grandi imprese. Ma chissenefrega, il Giro è il Giro nonostante tutto. E così quando sfreccia un ragazzo della Liquigas e la sua ruota posteriore saltella con rumore sordo sui lastroni di pavè una signora quasi si spaventa. Ma è solo un secondo. Poi torna il silenzio in attesa del claclson della prossima ammiraglia. In attesa del prossimo impercettibile fruscìo…

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