Qualche tempo fa chiacchierando con Gianni Poli eravamo finiti sull’onda dei ricordi a parlare di Rob De Castella, un mito del fondo mondiale, suo avversario e amico.  Un atleta fortissimo e atipico per la sua stazza più da triatleta che da runner  campione del mondo nel 1983 a Helsinki  ma che nel suo palmares vanta anche vittorie a Boston, Rotterdam  a Fukuoka e almeno un’altra ventina di medaglie tra cui quelle d’oro ai Giochi del Commonwealth del del 1982 e 1986.  All’inizio degli Anni Ottanta fu il maratoneta più veloce al mondo con il record di 2 ore 8minuti e 18 secondi ma la gloria arrivò dopo quando venne depennato il tempo di Alberto Salazar a New York di 5 secondi più veloce perchè si scopri  poi che quella edizione della Nycm era stata di 148metri più corta.  De Castella, mi raccontava Gianni Poli,  fu il primo esempio di maratoneta moderno, con la valigia sempre pronta e sempre pronto a viaggiare: il primo vero globetrotter dell’atletica insomma. E il mondo imparò a conoscere quell’australiano con i baffi che nel suo Paese era  già un mito soprannominato “Deek” per una disavventura che gli capitò durante una gara quando fu colpito da un fortissimo attacco di dissenteria. Tant’è che  oggi nella foresta di Stromlo partono i “Deeks Drive” una serie di sentieri non asfaltati attraverso boschi di pini ed alberi locali che portano il suo nome e dove nei fine settimana i podisti si ritrovano in centinaia per allenarsi.  Parlo di De Castella perchè tra pochi giorni Rob sarà di nuovo a New York. Non corre la maratona, ora fa l’allenatore. Porta in gara nella Grande Mela otto giovani aborigeni che hanno affrontato pericoli insoliti durante gli allenamenti in Australia . Il gruppo si è allenato per sette mesi sotto la sua direzione in condizioni meteorologiche estreme e in zone isolate nel nord dell  Australia affrontando “pericoli come cani selvatici e coccodrilli”. Non so se sia andata esattamente così ma con un “mister”  guascone come De Castella ci può anche stare…

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