C’erano una volta i ciclisti che avevano la faccia da ciclisti.  Come diceva Paolo Conte cantando Bartali  quelli “col naso triste come una salita e gli occhi allegri da italiani in gita”. Altri tempi.  Quando le foto erano in bianco e nero e le strade sterrate. I copertoni di ricambio si portavano in spalla, le borracce stavano sul manubrio e le maglie erano di lana grossa. Facce da fatica, da gente semplice, da tanti fratelli, da campagna, da pane e polenta da dividere, da “ciao mamma son contento”. Insomma la storia del nostro Paese che fu e che ora non è più perchè in mezzo secolo è cambiato tutto. Sono cambiate le bici che ormai costano come le moto, sono cambiate le maglie sempre più attillate, sempre più in fibra, sempre più body. E cambiato il look  con tanti tatuaggi, tanto gel e sempre più fashion. E sono cambiati i corridori che ora dopo la tappa e i massaggi non telefonano più a casa ma twittano e si connettono. Ma le facce no. Le facce del Giro sono sempre le stesse. E bastava guardare ieri quella di Luca Paolini “tappa e maglia” a Marina di Ascea. Una faccia da ciclista, da uomo che conosce la fatica. Emozionata e commossa pensando a suo padre che proprio in quel momento finiva sotto i ferri. Segnata e scavata a tradire quei 36 anni che sembrano anche un po’ di più. Una faccia senza tanti compromessi, senza tanti fronzoli, senza vizi e senza tante concessioni alla tv, al sudore e alle rughe. Una bella faccia vera come ci mancava….

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