Chissà dove è rimasto Alex Schwazer. Se è ancora là inginocchiato sulla pista di Pechino a raccogliere il suo oro olimpico o nella hall di quell’hotel di Bolzano a confessare tra le lacrime di essersi dopato. E chissà dove sono finiti tutti quelli che prima erano al suo fianco, dirigenti, allenatori, amici che ora non si trovano più. Adesso è nei guai. Di nuovo. Pochi giorni fa il campione olimpico di marcia della 50 chilometri è stato fermato sulla statale vicino a Vipiteno mentre guidava in stato di ebbrezza. Un altro controllo, ma non di quelli a cui era abituato quando faceva l’atleta. Ora è un ragazzo altoatesino come tanti e dalle sue parti bere è abbastanza normale. Aveva i valori dell’alcol- test superiori al doppio, guidava in modo «sospetto» e quando i carabinieri lo hanno bloccato ha parcheggiato sul ciglio della strada e ha consegnato la chiavi. Un’altra mazzata. Che non è la multa, il sequestro della patente, il fermo della sua auto. Schwazer sta pagando il conto. Un conto salatissimo che gli è stato presentato quella mattina del 30 luglio di due anni fa quando venne trovato positivo all’eritropoietina in un controllo a sorpresa nella sua casa di Calice di Racines. La fine e l’inizio. «La fine di un incubo» confessò tra le lacrime quasi fosse una liberazione. Ma comunque la fine di un sogno e della bella storia di quel ragazzo con la faccia per bene che era diventato l’alfiere delle speranze olimpiche azzurre e un esempio da seguire, perché non è facile a vent’anni sacrificare la propria voglia di gioventù alla marcia. E l’inizio della sua parabola con la scia giudiziaria delle indagini che non si è mai fermata. Controlli, sospetti, nuovi dubbi e nuovi interrogatori. E ci sono ancora decine di testimoni da sentire, persone informate sui fatti. Davanti a chi indaga in questi anni sono sfilati in tanti, anche Carolina Kostner che nulla c’entra ma che è la sua fidanzata e quindi viveva con lui e quindi qualcosa poteva sapere. E non solo. L’inchiesta si è allargata anche ad altri ambienti dell’atletica, ad altri campioni, a qualche dirigente federale. Così il calvario continua quindi e il peso resta. Così per uno che è abituato ad allenarsi e a programmare le sue ore, le sue settimane, i suoi mesi in funzione di una gara, di un campionato del mondo, di un’olimpiade le giornate non finiscono più. Resta un vuoto enorme da riempire con chissà che cosa. Perché se non hai un obbiettivo la testa cambia, cambia anche il metabolismo da atleta. È un circolo vizioso. Forse peggiore di quello che aveva portato Schwazer a provarci con l’Epo. «Perché quando in tanti, troppi, si aspettano tanto da te, ti senti in dovere di fare quello che loro ti chiedono- aveva raccontato qualche mese fa nelle Invasioni Barbariche di Daria Bignardi- Così bari e non ne vieni più fuori. Però lo sport è dentro di me e solo così la mia centralina può riprendere a funzionare. E io spero di tornare a farlo…». L’atleta forse non c’è più, ma c’è un uomo che ha bisogno che si torni a fare il tifo per lui.

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