“Il triathlon in Italia  sta crescendo perchè è uno sport completo. Ma soprattutto perchè anche da noi ormai inizia ad essere considerato la nuova frontiera del fitness. Si sta facendo strada l’idea che nuotare, pedalare e correre sulle varie distanze non sia più  una fatica riservata solo ad atleti e superatleti ma che sia sia anche lo spazio per chi vuole divertirsi e fare sport per il proprio benessere “. Parola di Simone Diamantini ( a sinistra nella foto di Martina Folco Zambelli con Linus durante la cerimonia di premiazione degli Oscar del Triathlon), un’ istituzione del triathlon italiano, già docente di teoria dell’allenamento presso l’Università degli Studi di Milano, commissario tecnico  della nazionale italiana nella spedizione di Pechino 2008 e ora responsabile tecnico dellaDds di Settimo Milanese . Nessuno meglio di lui può  spiegare un fenomeno come quello del triathlon italiano, uno sport che cresce e che negli ultimi anni è anche diventato abbastanza di moda. “Il vantaggio delle tre discipline è evidente- spiega-  Nuoto, bici e corsa sono tre sport che migliorano la potenza aerobica e sono complemetari uno all’altro e permettono a chi vuole fare sport per stare bene di variare il gesto atletico e quindi di divertirsi. Ma permettono   di evitare soprattutto tra gli amatori gli infortuni dovuti al sovraccarico di fatica come accade per la corsa che è uno sport molto impattante. E comunque permettono di evitare la noia”. Così negli ultimi anni tanti ci provano. E così sta cambiando un po’ anche il mondo del triathlon e stanno cambiando le gare che si accorciano e diventano più abbordabili. “Negli Stati uniti dove questo sport è davvero molto diffuso- racconta Diamantini– le gare sono  eventi aperti a tutti. Senza sminuirne il valore si può tranquillamente dire che sono vere e proprie feste di Paese. Ci sono gli atleti elite che gareggiano su distanze e con tempi da professionisti, quelle federali e poi  ci sono poi le gare promozionali che fanno il pieno di amatori. Gente normale che nuota, pedala e corre con il solo obbiettivo di arrivare al traguardo e divertirsi.  Per loro è fitness, ma anzichè andare da soli in palestra lo fanno open air in mezzo a tanta gente. Ciò ha permesso di cambiare la cultura di uno sport che si pensava riservato ai superuomini . Non solo. Negli anni voglia di partecipare si è talmente diffusa che si è allargata anche alle gare di Ironman che non sono propriamente una passaggiata.  Però negli Stati Uniti è passato il concetto che se uno nuota per 3,9 chilometri, pedala per 180 e alla fine corre anche una maratona comunque vada, comunque arrivi ha vinto.E così si sicrivono…”. Ed è ciò che sta succedendo in Italia anche se siamo solo all’inizio. “Si più o meno è così- spiega il Direttore tecnico della Dds– anche se da noi questo salto culturale è ancora da completare. Negli anni passati gli amatori che facevano triathlon pensavano e si comportavano come se fossero tutti professionisti. L’approccio alla disciplina era sempre molto agonistico. Quasi esasperato: una cura maniacale negli allenamenti, nelle tabelle da seguire, nei materiali dalla muta alle bici da crono, all’alimentazione. E oggi in buona parte è ancora così. Certo c’è una parte di amatori che si comporta e vive la performace con un vero approccio da amatore ma non è la maggiorparte. Non è ancora successo ciò che qualche tempo fa è successo con la corsa e con la maratona. Ma lì c’è stato un personaggio popolare come Linus che ha tirato la volata a un movimento. Ecco servirebbe un Linus anche nel triathlon…>. Però basta guardare il numero dei tesserati che ormai supera i 17mila per capire che le file del triathlon italiano si stanno facendo importanti. Un movimento che cresce trainato da campioni come Daniel Fontana e Alessandro Fabian tra gli uomin e Anna Maria Mazzetti e Alice Betto tra le donne. , Un travaso che avviene innzitutto dal podismo.  Maratoneti stanchi dei lunghi allenamenti solitari, delle ripetute, di mettere giorno dopo giorno un passo di corsa davanti all’altro. E allora si tuffano nella nuova avventura. ” Molti arrivano dalla corsa e capiscono all’istante che lo scoglio più grosso per chi comincia è ovviamente il nuoto- spiega Diamantini– Non è una disciplina che si improvvisa, c’è tanta tecnica e anche chi ha nuotato magari anni prima deve rpartire dai fondamentali. E come l’inglese: lo studi, lo impari anche bene a scuola ma poi se non parli perdi tutto. E così quando si torna al bordo di una vasca la cosa migliore è ricominciare con un corso di nuoto. In genere bastano una decina di lezioni oppure  affiancarsi ad un tecnico che allena una squadra di master”. Poi tocca pedalare. E anche qui se uno non è mai andato in bici sul serio qualche difficoltà la trova. Si può magari cominciare da quelle gare che consentono di usare la mouintanbike che è un po più semplice rispetto alla bici da strada. “Per partire in questa avventura- consiglia Diamantini– bisogna escludere il fai-da-te. Salire su una bici da corsa in modo scorretto può provocare dolori alla schiena quindi il mio consiglio è quello di farsi mettere in sella da un tecnico che prenda le giuste misure. Stesso discorso vale per i materiali che non devono esser improvvisati anche perchè oggi dalle scarpe all’abbigliamento si possono fare i giusti acquisti senza spendere una fortuna. Comunque il vero vero segreto è partire dalle gare brevi. Ci sono gli sprint che con 750 metri di nuoto, 20km in bici e 5 di corsa sono più abbardabili ma meglio ancora le gare promozionali che sono più corte ancora. Da qui si comincia. E diciamo che con tre allenamenti alla settimana nelle tre discipline se uno non ha mire di tempo o simili una gara così la può tranquillamente preparare”.  Chiaro che il discorso cambia per gli amatori più “raffinati” e se chi si avvicina al triathlon è un ragazzo o additurìttura un bambino. “Per i giovanissiami il discorso è completamente diverso- spiega il respondabile tecnico della Dds– Premesso che in ogni caso si deve partire da una visita medica agonistica,  per i bambini l’inizio deve sempre obbligatoriamente essere in una struttura sportiva organizzata. E necessario che a guidarli siano tecnici preparati che sappiano come gestire l’approccio”. Già perchè il rischio del “rigetto” c’è perchè il traithlon, nonostante tutto, resta un sport di estrema fatica. E capita che dopo un’overdose di allenamenti poi si molli tutto. “Capita ai più giovani ma anche ai grandi- spiega Diamantini–  C’è il rischio di passare dal’entusiasmo iniziale, da una ubriaciatura ad un vero e proprio rifiuto. Per questo gl allenamenti vanno gestiti da chi sa farlo. La regola è quella di saper adattare il propio corpo agli stimoli che dà. Bisogna imparare a riconoscere le sensazioni e finire gli allenamenti senza sfinirsi. Come dico spesso ai miei ragazzi ci si deve alzare da tavola ancora con un po’ di appetito…”

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