“Happy run”. Daniel Fontana entra in redazione e ce l’ha scritto sulla maglietta che è felice di correre. Soprattutto in Messico dove è stato dolcissimo anche nuotare e pedalare. Ma quando si vince tutto diventa poesia. Soprattutto quando si vince un Ironman a lungo cercato e soprattutto quando sei il primo azzurro a metterci la firma. Ti fai spazio in un pezzo di storia di questo sport. Così dopo la vittoria cominci giustamente a raccogliere la gloria che ti spetta. Dalla Gazzetta, a Radio Deejay, al Giornale è la passerella mediatica che vale il prezzo di tanta fatica, molte rinunce e tanti sacrifici. Ma tant’è: nulla è gratis. E fa “strano” incontrare Daniel dall’altra parte della scrivania quando poche ore prima eri nella stessa vasca della DDs  a cercare di dare un senso al tuo stile di nuoto che è “libero” solo nei tuoi pensieri. Però è lavoro. Così con la supervisione di Mario Celi, il caporedattore dello sport, l’intervista che uscirà domani sulla “carta” diventa una bella chiacchierata dandosi del lei e facendo finta di non sembrare troppo amici. Cercando di non dare per scontate le tante cose che già si sanno e di chiedere ciò che ormai non gli chiedi più quando lo incontri ma che serve per spiegare  l’abc di questo sport duro e affascinante inventato da tre marines ubriachi trent’anni fa alle Hawaii. Già, le Hawaii. Gira gira Kona torna sempre. Perchè il capitano della DDs è da un paio d’anni che ci pensa.  E ci ripensa. Allora fu un ritiro,  a ottobre chissà. Mai dire mai verrebbe da pensare facendo tutti gli scongiuri del caso. Perchè alla fine siamo tutti un po’ scaramantci, campioni compresi. Un’ora e mezzo a raccontare come si fa, quali sono gli avversari più forti, come ci sia allena, quanto si beve, come si gestisce una crisi, quanto è importante bilanciare pasta-carne-verdura per non ritrovarsi a meta strada col serbatoio vuoto. Ma anche per conoscere  un Fontana scrittore ( “Dimagrire di corsa” ed. Mondadori), per scoprire che è meglio un bicchiere di rosso che un pinta di birra e che la “fede” è quella interista perchè Palacio è un amico e Zanetti,  Cambiasso e Milito  sono argentini come lui che è però anche italiano. Un’ ora e mezzo a prendere appunti su due blocchi diversi: quello che servirà per l’intervista  e quello che invece diventerà la piccola guida al mio debutto al Rimini Challenge tra un mese.  Per lui l’Ironman è un cerchio che si chiude, per me un mezzo giro di tango che chissà come andrà a finire..