C’è sempre la prima volta. Per tutto. Un esame a scuola,  una laurea, una vittoria o una sconfitta, una maratona, una moglie, un figlio…E anche per un triathlon. Che poi la prima volta  è sempre la più bella,  perchè  vuoi mettere l’ansia,  la paura e quel groppo che ti blocca lo stomaco? Poi ci provi, fai, finisci e svanisce tutto. Già, perchè  è sempre l’attesa che dà il giusto sapore alle cose, che te le fa godere, sognare, immaginare, che le modella con la fantasia. Che Natale sarebbe se non ci fosse la la magia della vigilia?  Va così, poi l’attesa svanisce e tutto torna ad essere abbastanza normale. Ma ognuno, per ogni cosa importante che fa, ha il suo “Sabato del villaggio” che  è sempre un giorno da ricordare,  finisce nella bacheca dei  ricordi e lì resta. Per sempre.  Due settimane fa Giancarlo Pagani, un amico che corre con me,  mi aveva chiesto come ci si poteva iscrivere al Triathlon di Milano. Se serviva un certificato, un body, la muta…insomma istruzioni per l’uso. Non aveva bisogno d’altro. Il resto c’era già tutto: dal cuore, al fiato,  alle gambe perchè uno che quest’inverno ha finito ( e bene) la Vasaloppet un “olimpico” se lo beve . E così  è stato.  Però vuoi mettere la soddisfazione. Vuoi mettere la prima volta. E mi piace finire con ciò che ha scritto Luciana Rota. un’amica che ci conosce entrambi ma non sapeva che ci conoscevamo. Mi piace  perchè è la sintesi perfetta della mia chimica dello sport, del mio doping, di come la fatica sia capace di unire anche persone che apparentemente sembrano distanti, diverse, con poco o nulla da spartire: < Incredibile: ci ho messo un po’ a  capire ma come mai Antonio conosce Giancarlo e viceversa? Poi vi siete tuffati. E ho capito…>
(foto di Dardo Gaudin)

 Mia moglie era sicura che prima o poi ci avrei provato. Anche altri guardandomi in costume:“sei un triatleta…”. Fino ad oggi non ci avevo dato tanto peso, lo consideravo un complimento  tipo “beh, ti tieni in forma, vero?”. Ieri per gioco, per curiosità, e per una serie di fortunate coincidenze mi sono cimentato nel mio primo triathlon. A Milano, la mia città. Che molti non associano allo sport perché di fatto lo rigetta (maratona e Stramilano docet). Nel senso che un evento sportivo per il milanese è una rottura di scatole infinita piuttosto che una bella occasione di vivere una giornata uniti, magari scoprendo una disciplina nuova. Ma questa è un’altra questione. In passato, quando correvo in bici avevo un allenatore che è poi diventato uno dei guru del triathlon italiano e non solo. Ricordo un estate a St Moritz, con la mano rotto dopo un brutto incidente in bici, guardare quegli strani atleti che si allenavano tutto il giorno, in altura per preparare i mondiali. E ai tempi quello stesso allenatore mi diceva che io non avrei potuto perché velocista, tozzo e potente, sicuramente non adatto alla corsa e soprattutto al nuoto (neanche mi girano le spalle). Poi è venuto il lavoro, il fidanzamento, i figli. La bici è stata messa in garage e ho scoperto la corsa. Ho fatto qualche gara, conosciuto nuovi amici. Sono partito come tutti dalle tapasciate. Ho fatto anche un po di atletica sperando di riciclarmi come centometrista. Poi una mezza maratona. E infine il naturale epilogo, una maratona, Roma 2010, con la voglia di provare questa distanza mitica e allenamento scarso. E’ venuta la famiglia, i figli, gli inverni freddi da riempire con qualcosa da fare per non stare all’ingrasso davanti al camino. Ed è così che è arrivato lo sci di fondo. Poi è arrivata l’ernia al disco, conseguenza anche di un po’ troppi pesi. Forse. E di quel maledetto sollevamento pesi che tutti hanno criticato, ma che alla fine mi ha fatto conoscere mia moglie, rendendomi una persona nuova, felice e piena di vita. Perché lo sport fino a quel momento, quello agonistico dico, serviva a riempire un buco. Un vuoto d’affetti, un senso di apatia. Nella sofferenza trovavo la pace e nella fatica la gioia di vivere. Ho passato momenti difficili nel passare dall’agonismo puro allo sport come concezione ricreativa. Perché la testa non cambia con la stessa velocità con cui si scioglie il corpo. La testa, la ragione, la convinzione ti fanno credere di essere ancora competitivo, ma poi la realtà delle cose è che la vita, quella cosa bella e varia che solo alcuni fortunati provano, ha bisogno di essere vissuta con tale intensità da rubare le energie che prima servivano per spingere il rapportone. Per soffrire fino a diventare ombra di se stessi. Quest’anno per risanare o quanto meno tenere a bada che la schiena capricciosa ho cominciato a nuotare. Corso Nuoto Master alla piscina di Bollate, con un istruttore ex triatleta. Un semino di ciò che sarebbe venuto? Forse. Guido, uno degli amici della palestra della pausa pranzo ha cominciato a pensare  al triathlon. Semino numero due? Antonio, altro amico della palestra ormai è triatleta affermato, ha contagiato tutti in famiglia. E allora come fare a resistere al richiamo del triathlon? Impossibile. “Ma ci sono i bambini”, “quest’anno hai già usato tutti i crediti famiglia partecipando alla Vasaloppet”, mi dicevo, forse un po’ per scusa. Ma i bambini sono in montagna con i nonni. Morale mi sono iscritto ultimo giorno utile. Ho recuperato con tempi record un certificato agonistico per presentarmi abile ed arruolato. Ho recuperato la bici di quando correvo in garage in campagna. L’ho messa a punto e l’ho bene istruita sui suoi nuovi compiti. Ho comprato un body da gara giallo e grigio da vero professionista. Insomma  pronto a seguire i consigli di Antonio che oltre ad andare forte, ha come doti principali la calma di un asceta indiano, l’educazione di un lord inglese, mista alla testardaggine di un montanaro e la dialettica di un ambasciatore del 1800. Insomma è quanto di meglio si possa avere come amico per cimentarsi nel primo triathlon della vita. Il triathlon di Milano si corre sulla distanza olimpica (1.500 nuoto nel naviglio grande, 40km bici intorno al castello sforzesco, 10km di corsa all’interno del parco Sempione).  Una distanza non proibitiva ma impegnativa. Ma questo non vuole essere una cronaca della gara finita dignitosamente malgrado il panico iniziale della frazione di nuoto (causa acqua gelata, occhialini oscurati e acqua torbida) e il blocco di stomaco nella frazione di corsa. Vuole essere solo l’evidenza di una scoperta. La storia di un’esperienza che mi ha fatto pensare. In primo luogo a quanto il corpo umano sia flessibile, o come direbbero i guru sportivi moderni, resiliente. In secondo luogo quanto la mente sia dominante, volere è potere. (ho corso l’ultima frazione a 5’ al km contorcendomi dal male). In ultima istanza, con un pizzico di modestia e tanto rammarico mi dico “che peccato non averlo conosciuto prima”. Come ciclista sono sempre stato un mediocre, come podista pure, e idem come nuotatore. Forse unendo tre mediocrità sarebbe venuto fuori uno sportivo completo? Non dico competitivo, ma quanto meno completo. Me lo chiedo mentre penso ad Antonio che mi ha appena confidato che l’anno prossimo vuol provare a fare un Ironman. Lo osservo mentre si sistema il body dalle fantasie fibra di carbonio e verde ramarro. Sorride con gli occhialini viola di suo figlia, prima di tuffarsi borbotta sereno. “Chissà se mi andranno bene?” Da lui vorrei imparare non solo a fare bene un triathlon, magari un correre un Ironman gomito a gomito, ma soprattutto a vivere così, con energia e sorriso contagioso. Perché dopo aver gareggiato Antonio fa la doccia dà un’aggiustata ai capelli e si presenta puntuale al Giornale per raccontare le gioie di altri sportivi. Grazie, scrivi tante belle storie sugli altri, per una volta, concedimelo, non sono professionista come te, ma a nome di Alberto, Guido, Davide, Giorgino e tutti gli altri comuni mortali che come me, battagliano per vivere in armonia, vorrei ringraziarti dell’energia che ci trasmetti. Quella energia che il 27 luglio 2014 credo che noi tutti 500 triatleti abbiamo diffuso nella sorniona Milano.


Tag: , ,