Se, se, se…torna in mente un mito di poesia come quella di Kipling. Ma sarebbe un’imperdonabile presunzione. Qui si vola molto più basso, a sfiorare il qualunquismo di quei discorsi che di solito si fanno al bar. Che cerchi di ricacciare indietro però tornano perché spesso è ciò che vedi che condiziona i tuoi pensieri. E che fa saltare le tue categorie. Così torni in Italia dopo aver pedalato per giorni e chilometri sulle sponde del lago di Costanza in Germania e ti resta un po’ di amaro in bocca. Non per i posti bellissimi che ci sono anche da noi. Lindau, Mainau, le cascate del Reno a metà con la Svizzera, la sponda austriaca di Bregenz, tutto bellissimo e perfetto ma se sei abituato a Bellagio, a Desenzano, a Bardolino non è che ti manca qualcosa. E neppure per le piste ciclabili che da noi restano purtroppo un’ipotesi. I tedeschi, ma anche gli svizzeri, gli austriaci, gli svedesi, i belgi, gli olandesi…(e si potrebbe continuare) si muovono in bici perché sono culturalmente abituati a farlo ma anche perché hanno le strade riservate per farlo. Da noi andare da una qualsiasi stazione ferroviaria di Milano fino nell’hinterland e’ praticamente impossibile. Così come andare dal centro di Milano sull’Adda, sul Ticino o in un qualsiasi parco della provincia. Non ci sono le ciclabili e soprattutto non c’è uno straccio di indicazione. I tedeschi ma anche gli svizzeri, gli austriaci, gli svedesi, i belgi…insomma quelli di prima, invece hanno due segnaletiche parallele: una per le auto, la stessa, identica, per chi si muove in bici. Si può andare ovunque, da frazione a frazione, da paese a paese, da città a città senza perdersi e sapendo sempre quanti chilometri uno ha percorso e quanti gliene mancano. Ma l’amaro in bocca tornando dalla Germania resta per altre cose. Ti viene di fare un paragone con l’Italia più per eccesso d’amore che per esterofilia. Ti viene perché salta all’occhio. E allora ti chiedi perché se parti dalla stazione di Costanza non trovi nessuno appostato alle macchinette dei biglietti che pretenda una mancia per aiutarti a fare il biglietto. Ti chiedi perché non ci sia nessuno che ti cammini a fianco per decine di metri per venderti un braccialetto, un libro, un gioco cinese. Ti chiedi perché entrando con le bici in stazione non si debba zigzagare tra decine di venditori di borse, cinture, magliette o chissà cos’altro. Ti chiedi perché pur avendo percorso in bici e in auto quasi un migliaio di chilometri su strade di campagna, provinciali e statali tu non abbia mai incontrato una prostituta che una. E allora pensi alla sfilata di donnine che da noi animano il viavai automobilistico sulla Paullese, sulla Vigevanese e in ogni dove sulle strade della Penisola. Ti chiedi perché ti guardi in giro e non vedi baraccopoli o accampamenti di roulotte sotto i ponti delle superstrade. Ti chiedi perché tutte quelle magnifiche case, casette, ville e villette che si affacciano sulle sponde del lago di Costanza non abbiano alle finestre un’inferriata che una e non abbiano recinzioni spinate per proteggere i giardini. Ti stupisci se il ragazzo che ti accoglie alla reception dell’hotel ti dice che puoi tranquillamente lasciare la tua auto per sette giorni in un parcheggio sperduto della zona universitaria di Friedrichausen perché tanto non le accadrà nulla. All’auto. E infatti non le accade nulla. Certo, non sarà il Paese delle meraviglie e una decina di giorni non bastano a capire come si vive davvero in un posto. Si rischia di dire cose banali, il qualunquismo da bar. Può darsi. Però come cantava De Gregori tra “bufalo e locomotiva la differenza salta agli occhi…”. E allora ti viene da chiederti: ma perché noi non riusciamo a pedalare come i tedeschi?