Non ci penso nemmeno… Dicono tutti così e invece ci pensano, eccome se ci  pensano. Però si fa fatica anche  a pensarci: 4 chilometri a nuoto, 180 in bici e 42 di corsa sono davvero “tanta roba”.  Sette o otto ore per chi fa l’Ironman di mestiere, dodici, tredici anche quattordici per tutti gli altri.  Quelli normali, o “pazzi da legare”, dipende dai punti di vista. Che fa più impressione cambiandolo,  il punto di vista. E cioè salendo in piedi sul banco come insegnava il professor John Keating. Così un Ironman diventa una mezza giornata a sudare, imprecare, sfinirsi  mentre nella stessa mezza giornata le persone normali si alzano , fanno colazione, vanno al lavoro, pranzano e tornano a casa dai figli per la cena. La differenza c’è. Ed è pazzesca. Per questo è la sfida di tutte le sfide. Per Daniel Fontana, Domenico Passuello e per  tutti quanti i campioni che tra un paio di mesi si giocheranno il mondiale alla Hawaii ma anche per tutto un popolo di folli che un bel giorno, una bella mattina appoggiano giù il piede dal letto e decidono: “Farò un Ironman”.  Chissà cosa scatta nella testa. Già chissà. Ma è inutile cercare una risposta logica perchè logica non c’è. Comanda e decide la testa che però va in corto circuito. E ti porta dove nemmeno immaginavi si potesse arrivare. E incredibile quanto siamo bravi a soprenderci. E incredibile quanto anche nelle imprese più complicate ci sia la quotidianità che non ti aspetti. E basta leggere l’articolo dell’ottimo Carlo Brena, che pochi giorni fa in Svezia è arrivato a traguardo dell’Ironman di Kalmar, per capire quanto la sfida sia “mistica” ma anche eroicamente normale. “Come una tazza di cioccolata calda con panna d’inverno”. E te la godi…

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