Quante cose si possono fare in un’ora. C’è un’ora per tutto. Per viaggiare, studiare, laurearsi, partire o innamorarsi. Ci sono ore e ore che passano senza lasciare un segno ma ce ne sono altre che fissano le tappe fondamentali di una vita. E che non dimentichi più, senza bisogno si segnarsele su un’agenda o salvarle, come si fa ora, da qualche parte su un  pc o su un telefonino.  E  ieri sera l’ora che  Jens Voigt ha passato a pedalare sul velodromo svizzero di Granges sarà di quelle che restano. Il tedesco, 43 anni ,  ha stracciato il record del ceco Sosenka che resisteva dal 2005 volando giro dopo giro a 51,115 chilometri orari.  Si sapeva. Lo aspettavano un po’ tutti . Lo aspettavano questo “crucco”che arriva dalla scuola dello sport dei dilettanti di Berlino Est e che ha cominciato a pedalare nell’ex esercito della DDR. Perchè diciassette Tour e tre Giri con grandi fughe e qualche grande vittoria non si corrono per caso. E lo aspettavano perchè il tedesco alle crono ha sempre dato del tu: un “cagnaccio” dicevano in gruppo.  Lo aspettavano i suoi tifosi. Lo aspettavano i suoi sei figli e lo aspettava forse anche Manuel Garate che otto anni fa  in una tappa di montagna del Giro si vide consegnare il traguardo del San Pellegrino dal tedesco che non fece la volata perchè,  per difendere il suo capitano Ivan Basso  in rosa, non aveva tirato un metro durante la fuga. Storie di ciclismo, che nonostante tutto, resta uno sport dal cuore antico. Un po’ come l’ora che nonstante bici che sembrano arrivate dal futuro,  ruote lenticolari, protesi, carbonio e body in goretex, conservano il fascino del ciclismo che fu. Della “kermesse” come diceva Adriano De Zan. Delle sei giorni, dei tavolini e della cena in mezzo alla pista mentre tutt’intorno si sprinta e si insegue, delle miss, delle orchestrine da balera, dei “dernie”, dell’americana, dei bambini a caccia di gadgets, dell’odore di olio canforato,  dei bravi procuratori e dei bravi presentatori. E anche Jens Voigt forse è uno degli ultimi pezzi di questo ciclismo che non c’è più.  Ma tant’è. Da oggi comunque a non esserci più sono i vecchi record dell’ora. Non quelli  di Francesco Moser a Città del Messico, non quelli di  Graham Obree  l’inglese che pedalava su una lavatrice. Quelli fanno parte di un’altra storia. Voigt ha cancellato tutto ciò che è venuto prima e dopo la parentesi delle bici “spaziali” , cioè da quando l’Uci è tornata ad omologare solo i record realizzati con le bici normali,  ammesso che sia normale  la fuoriserie della Trek messa in pista ieri sera in Svizzera. E ammesso che il problema fossero poi le bici.  Da Anquetil a Mercks a Sosenka  questo uomo del Baltico ha messo dietro tutti. In un’ora che sa di antico un po’ come lui. Che vive ancora dall’altra parte del muro e che a Le Monde qualche giorno fa ha raccontato quanto ci tenga  a pagare le tasse nel suo Paese : “Perchè riequlibrano i redditi perchè nel nostro sistema politico  le imposte servivano per cancellare le differenze. Non c’erano gelosie tra il giardiniere e il professore che guadagnavano lo stesso salario». Altri mondi e forse anche altri uomini che scrivono pezzi di storia e poi se ne vanno. “Un’ora solo ti vorrei…”, sembra di sentirle le note del capolovoro di Umberto Bertini che cantò la Vanoni. E un po’ di malinconia ti viene…

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