La nuova frontiera della corsa è il «movimento utile». Un progetto, ma forse sarebbe meglio dire una missione, che fa capire quanto la corsa stia diventano nell’idea del professor Gabriele Rosa, uno dei tecnici più prestigiosi dell’atletica mondiale, qualcosa in più della semplice pratica sportiva. Con i nostri atleti- spiega- abbiamo vinto mondiali e olimpiadi ma la corsa serve anche a far muovere la gente. Può essere una terapia soprattutto per le categorie più deboli, quelle che hanno problemi fisici e psicologici ma anche quelle che vivono disagi sociali». E così la corsa da qualche mese è entrata nelle carceri. Più precisamente nella casa circondariale «Verziano» di Brescia con una iniziativa del Marathon Center e della Provincia che il prossimo 4 ottobre porterà 25 detenuti di tutte le età, tra cui cinque donne, a correre per la prima volta una gara podistica oltre le sbarre. «É un risultato storico- spiega Rosa– Perchè l’iniziativa è stata accolta con molto entusiasmo e ora con tutta probabilità sarà estesa ad altri istituti di pena. Quando abbiamo lanciato l’idea di far correre i detenuti la risposta è stata immediata. Così il nostro staff tecnico ha cominciato a frequentare per due volte la settimana il carcere per i test e per gli allenamenti che si sono svolti nel campo sportivo interno. Ora l’atto finale. E cioè la gara fuori dal carcere che si correrà il 4 ottobre a Brescia. Un sfida all’americana, cioè ad eliminazione, che vedrà coinvolti anche atleti amatoriali e i bambini delle scuole». É la prima volta che succede. E’ la prima volta che un gruppo di detenuti lascia le celle per andare a correre una gara podistica al di fuori di un istituto di pena e che poi è il senso di questa iniziativa che si chiama «Correre libera(la)mente» e dove il «la» è volutamente messo tra una parentesi. «Certo- spiega Rosa- il senso ultimo di questo progetto è esattamente questo: permettere ai detenuti di fare movimento, di concentrarsi sulla corsa e trovare poi alla fine una gratificazione importante». Non è la prima volta che il Marathon Center entra con la corsa nelle carceri: già era successo alcuni anni fa a Milano quando alcuni ragazzi dell’istituto Beccaria erano stati preparati per correre la Maratona di Milano. Ma più o meno alla stessa filosofia, che vede la corsa come strumento di recupero sociale, si è ispirato il progetto che ormai prosegue da diversi anni con la comunità di San Patrignano. Un’avventura che ha portato  un nutrito gruppo di ragazzi ospiti della comunità prima a cimentarsi con gare di breve distanza e poi addirittura con la maratona prima a New York e poi a Londra. «Sì è vero- spiega Rosa– il progetto delle carceri e quello ormai avviato con Letizia Moratti a San Patrignano si muovono sulla stessa linea ideologica. E cioè che la corsa non è solo una pratica agonistica riservata agli atleti che si allenano per vincere gare e titoli. La corsa è uno strumento di benessere e può valere per tutti». .o un nutrito gruppo di ragazzi ospiti della comunità prima a cimentarsi con gare di breve distanza e poi addirittura con la maratona prima a New York e poi a Londra. «Sì è vero- spiega Rosa- il progetto delle carceri e quello ormai avviato con Letizia Moratti a San Patrignano si muovono sulla stessa linea ideologica. E cioè che la corsa non è solo una pratica agonistica riservata agli atleti che si allenano per vincere gare e titoli. La corsa è uno strumento di benessere e può valere per tutti». .