Gli girava male negli ultimi tempi. D’altronde non è che se uno vince una maratona diventa ricco e si sistema per tutta la vita. I maratoneti, anche se forti, non sono calciatori, golfisti o piloti di formula uno. Tanta gloria, tanta fatica ma non fiumi di dollari. E poi dipende dalla maratona. Perché un conto è arrivare primo a New York o a Londra o nelle dorate kermesse degli Emirati, un altro a Torino che, anche se importante, non è una corsa che ti fa svoltare. Così Abdelaziz El Idrissi che tre anni fa correndo in 2 ore e otto minuti aveva vinto col miglior tempo di sempre la Turin Marathon lì era rimasto. Sul lungo rettilineo di Corso Francia dove aveva «schiantato» tutti prima di arrivare a braccia alzate sul traguardo di piazza Castello e raccontare a tutti che il suo sogno era sì vincere un maratona ma soprattutto diventare italiano. Una sorpresa ma non del tutto perché l’alteta marocchino già aveva fatto parlare di sè alle olimpiadi di Pechino dove era arrivato undicesimo e ai mondiali di Daegu in Corea dove si era piazzato quarto. Ma a volte la gloria dura davvero lo spazio di un amen. E infatti El Idrissi, dopo la sua vittoria sotto la Mole, era tornato a vivere alla giornata come fanno molti immigrati oggi nel nostro Paese. É finita male. Malissimo. E finita con un paio di manette ai polsi e un’accusa di furto aggravato per aver rubato un cellulare ad un uomo su uno scooter fermo a un semaforo in viale XX settembre a Genova. La storia fa un po’ tristezza. Si perchè El Idrissi da quel semaforo non ci passava per caso. Lui, che era arrivato in Italia una ventina di anni fa, da sempre viveva a Genova, ultimamente un po’ dove capitava arrabattandosi tra i carrugi. E a quell’incrocio ci lavorava da un po’ ormai. Faceva ciò che fanno molti sui connazionali nelle città italiane quando le promesse di un lavoro, e forse di un vita migliore, si squagliano come neve al sole: vendeva fiori agli automobilisti che si fermavano in attesa del verde. E le beffa è che a volte le promesse svaniscono anche per chi è considerato una «promessa» dello sport marocchino, già nazionale, già un po’ campione: perché non sempre la vita tiene conto dei privilegi. E chissà se durante le sue corse, i suoi allenamenti, le sue maratone ci aveva mai pensato che sarebbe finita così. Chissà se a quegli studenti dell’istituto Alfieri di Torino che dopo la sua vittoria gli chiedevano come si diventa campioni di maratona aveva confessato la sua paura: non di non vincere più ma di non farcela ad arrivare in fondo. Forse no. Ed è andata come andata. Così quando il carabiniere di quartiere gli si è parato davanti per chiedergli conto di quel telefonino che si era messo in tasca, non ha avuto neppure la forza di fuggire. Dicono che si sia messo a correre ma che sia stato raggiunto dopo pochi metri dal militare che si teneva con una mano la bandoliera. Il maratoneta che aveva messo dietro tutti tre anni fa alla Turin Marathon non c’era più. Neanche forza di uno scatto. E ora per Abdelaziz comincia un’altra maratona. Dura come non mai…

Leggendo i vari messaggi su Facebook che fanno riferimento all’articolo de La Stampa e de il Secolo XIX e visto il pressante riferimento al fatto che il giovane coinvolto nel caso spiacevole di Genova sia stato il vincitore della Turin Marathon Gran Premio La Stampa, nel 2011, mi sembra il caso di fare alcune considerazioni.

In alcuni punti ho letto che il carabiniere ha potuto compiere l’arresto correndo più veloce dell’ex atleta. Io non credo sia corretto sviluppare ironia intorno a un caso umano di non facile interpretazione creando, magari, delle fantasiose situazioni nelle quali questo disgraziato si è venuto a trovare.

Aziz Naji ci è stato proposto da uno dei nostri manager di riferimento nel 2011, e inaspettatamente ha vinto anche con un tempo di un certo rilievo. Noi increduli abbiamo, dopo tutte le analisi e indagini del caso, pagato premi, bonus e ingaggi per un ammontare complessivo di ventiduemila euro. Questa cifra Aziz pare se la sia sperperata rapidamente.
Cosa sia successo esattamente a Genova non c’è dato sapere. Da testimonianze locali sembrerebbe che a seguito di una lite a un incrocio, dove l’ex atleta proponendo dei fiori veniva brutalmente mandato a stendere, sia seguito un alterco con qualche spintone.
L’intervento del carabiniere presente al fatto, ha avuto come conseguenza l’immediato trasporto dei due litiganti in caserma dove uno dei due sosteneva che l’altro avesse tentato di rubare il telefonino. Lungi da me l’idea di intervenire nel merito e di partecipare al gossip.

Quello che credo sia utile, visto che qualcuno ha subito cominciato a pensare a chi poter attribuire la colpa di questa situazione, se all’atleta o allo sport, mi pare che assegnare qualche colpa allo sport sia fuori luogo. Il ragazzo aveva un manager, una squadra e come avviene in molti casi si è ritrovato in tasca cifre importanti che non è stato capace di gestire e, soprattutto, non ha avuto la costanza di continuare con la corsa, con l’allenamento e con quella fatica quotidiana che lo aveva portato successo.

Si badi bene che questo non è un caso singolo, è una cosa che si ripete anche in Kenya dove molti atleti, soprattutto maschi, raggiungono successo e passano dall’oggi al domani da una vita in una capanna di paglia alla possibilità di disporre di denaro che in quei paesi sono cifre enormi. Credo sia difficile stabilire cosa si possa fare perché questo non accada più. 
Ormai in Africa, in Kenya, Etiopia, Uganda ci sono allenatori che addirittura creano scuole, luoghi di accoglienza e formazione. Moltissimi atleti hanno avuto fortuna, sono diventati militari, politici, ministri però, come accade in tutto il mondo, ci sono casi che vanno verso strade sbagliate, disperate e perdenti. Di certo lo sport non può agire come il grande fratello. Se così fosse non ci sarebbe il doping e non ci sarebbero anche nel nostro paese casi così tristi e drammatici.

Noi della Turin Marathon esprimiamo con dolore il nostro affetto per Aziz Naji e ci auguriamo che questa tirata d’orecchi gli serva da lezione e lo aiuti visto che è anche ingrassato a ricominciare a correre e a quanti gli sono attorno rivolgiamo un appello affinché lo aiutino a trovare un lavoro.

Turin Marathon
Il Presidente
Luigi Chiabrera