Tutte le grandi sfide nascono per caso.  C’è sempre una scintilla, un lampo che trasforma la sensazione in un sogno. Vale per le grandi imprese,  le  grandi scalate, per le più ardite traversate in mare. Come succedeva agli eroi dell’antica Grecia tutti da qualche parte possono trovare coraggio di guardare gli Dei negli occhi anche per una sola volta.  Il mito si alimenta così, non c’è un preavviso. E la stessa cosa si può immaginare per l’Ironman dell Hawaii che sabato si correrà  Kona. Certo ora è business, all’ennesima potenza. Un grande evento che muove più di qualche dollaro dove  uomini, eroi, e divinità poco c’entrano perchè a dettare le regole non sono gli Dei dell’Olimpo ma i manager delle grandi aziende.  C’era una volta lo splendore divino di Achille, c’è oggi il prestigio di un marchio e degli sponsor. Ma il fascino è grande e anche la storia è da raccontare. L’Ironman dell Hawai nasce 36 anni fa durante la premiazione di una gara su una spiaggia della Big Island. Per caso, ovviamente. Quattro marines ubriachi fanno notte impilando lattine di birra sulla spiaggia e discutono di quale sia lo sport più duro in assoluto. Chiacchiere.  Uno dei tre, John Collins ha un’idea. Quella giusta. Una nuova sfida che sia il risultato di 3 gare dove già  bisogna buttare il cuore oltre l’ostacolo: la Waikiki Roughwater, 2,4 miglia di nuoto più la Around Oahu Bike Race con 112 miglia in bici e la Honololu marathon con 26,6 miglia di corsa. Tutte di seguito, senza mai fermarsi: vince chi arriva alla fine in meno di 17 ore . Sarà il primo Ironman della storia. E da qui comincia il mito di questa avventura. Il 18 febbraio del 1978 la sfida parte all’alba, mezzora prima che sorga il sole, quando mare e cielo si confondo sulla linea dell’orizzonte. Nelle acque della marina di Kona si tuffano in 15. Pochi, pochissimi, quelli più audaci o più incoscienti che trovano il coraggio di affrontare una sfida che non sembra possibile, che pare un peccato di presunzione figlio di quella “ubris” che tanto fa arrabbiare gli Dei. E qui invece gli Dei bisogna averli dalla propria parte fino all’ultimo metro di strada, fin sul traguardo. Solo dodici arrivano in fondo. Una dozzina di uomini che per tutti diventano d’acciaio e scrivono un pezzetto di storia di questo sport. Non finisce lì. Anzi, lì’ comincia. E trentasei anni dopo è punto e a capo. Solo che questa volta da Daniel Fontana ad Alex Zanardi, da Luca Parmitano ad un altro “manipolo” di azzurri che correranno negli age group c’è anche una storia azzurra da raccontare. Agli Dei piacendo…

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