Un Ironman sono duemila storie tutte da raccontare.  Figurarsi l’Ironman di Kona dove tutto è cominciato e dove tutto continua perchè è qui che il mito degli uomini d’acciaio si autoalimenta. Perchè è qui che molti arrivano a giocarsi la gara della vita: tanti cominciano, tanti finiscono una carriera e tanti ripartono dopo una sconfitta. Un Ironman sono duemila storie da raccontare perchè dietro ogni bracciata, ogni pedalata, ogni passo c’è una stagione di fatica, di sacrifici e di speranze. Che a volte svaniscono come neve al sole. Così oggi tutti giustamente celebrano Alex Zanardi: un grande.  Lui la sua sfida l’ha vinta. Quando un mese fa aveva presentato l’ avventura nella sala Montanelli del Corriere della Sera in via Solferino a Milano gli brillavano gli occhi. Non aveva nessun dubbio che ce l’avrebbe fatta e forse non ne aveva nessuno neppure sul fatto che sarebbe arrivato sotto le dieci ore. Fatto. La sua impresa, perchè di questo si tratta, è una lezione per tutti. Ed è la stessa lezione che tanti come Alex Zanardi, che però non si chiamano Alex Zanardi, danno ogni giorno a tutti sfidando città, luoghi, edifici, mezzi pubblici ancora troppo inospitali. Altro che Ironman. Ciò detto Zanardi è immenso. Lui dice spesso di sentirsi un “privilegiato” ma il realtà il suo  privilegio è avere una testa capace di assecondare la sua infinita voglia di vivere. “Quando mi hanno chiesto di partecipare all’Ironman di Kona- aveva spiegato- mi sono detto: perchè no? Quando mi ricapita…”. Forse il segreto è tutto qui: avere il coraggio di avere coraggio che poi è l’unico modo per arrivare in fondo a tutte le cose. Così Alex e così Daniel che di cognome fa Fontana, che è mezzo argentino e mezzo italiano, che è stato due volte olimpionico, che è stato l’unico in Italia a vincere un Ironman e che ieri era l’unico azzurro in gara a Kona che aveva la possibilità di giocarsela con i primi.  Gli è andata male, malissimo. Peggio di come potesse immaginare nel più brutto dei suoi sogni. Ma non sempre tutto va come si vorrebbe. Non so ancora cosa esattamente gli sia capitato in gara. Ho seguito i suoi tempi, i suoi passaggi , i distacchi che aumentavano e quel pallino verde sulla mappa della Big Island che si allontava dal gruppo dei primi.  Ma erano numeri. E i numeri non ti spiegano del tutto la fatica, le difficoltà, le sensazioni. I numeri non hanno anima. Poi uno stop nel penality box,  poi le gambe che forse non giravano più come prima, poi il vento e poi una maratona ad inseguire… Non tanto Kienle, Frodeno e gli altri ma forse un sogno che fuggiva via. Mi sono sempre chiesto cosa passi nella testa di un  campione quando capisce che la gara è persa. Quando si rende conto che non c’è più nulla da fare. Chissà quali sono  i comandi che partono dal cervello? Credo che uno arrivi subito prima degli altri percorrendo una corsia preferenziale che è poi la strada più comoda. La scorciatoia che ti permette di mettere fine al tuo tormento senza pederci la faccia. Il ritiro è sempre dignitoso. Il ritiro ti pemette di giustificare o di nascondere una giornata storta. Il ritiro ti dà sempre un alibi per gli altri e spesso anche per te stesso. Il ritiro è come schiacchiare il tasto di pausa sul telecomando per interrompere una gara che non ti piace più. Fine. E se ne riparla. Fontana ieri quel bottone non lo ha voluto schiacciare ed è stata una scelta coraggiosa. Lui pure come Zanardi ha avuto coraggio ad avere coraggio.  Poteva chiuderla lì e nessuno gliene avrebbe chiesto conto. Poteva mettere la freccia e accostare come si fa in formula uno quando il motore va arrosto o si buca una gomma. Poteva evitare di farsi sfilare da atleti che non credevano ai propri occhi e mai avrebbero pensato di superarlo.  Sì,  poteva evitare… Ma a volte ci sono traguardi che valgono più di un crono o di una medaglia. Ci sono traguardi speciali fatti per uomini che hanno coraggio. E la vittoria può davvero diventare un dettaglio…

Tag: , , ,