Non è per niente un rito stanco ma la crisi morde. E non solo la crisi. Dopo le bombe sul traguardo di Boston il resto lo fa la paura di trovarsi nel cuore di un grande evento che potrebbe essere preso di mira da qualche fanatico. E c’è ancora la ferita aperta di Ground Zero a ricordare che il pericolo non è passato. Cosi gli italiani, che da sempre sono stati la truppa più numerosa a New York, dagli oltre 4mila che erano nel 2011 quest’anno saranno poco meno della metà: 2059 per la precisione. Si fa più fatica ad andare dall’altra parte dell’Oceano per correre la maratona più famosa del mondo che oggi sarà anche la più «blindata» e controllata di sempre. Si fa più fatica perchè, chi è obbligato a stringere la cinghia, prima di mettere in bilancio tremila euro per partire adesso ci pensa due volte. Però New York vale il viaggio. Sempre. É la maratona più bella. «L’unica che può cambiarti la vita. Perchè se vinci da qualche parte del mondo diventi un atleta di primo piano ma se vinci a New York diventi famoso..» racconta ogni volta che glielo chiedono Gianni Poli, un pezzo di storia della nostra maratona, il primo azzurro a scendere sotto le 2ore e 10 minuti sui 42 chilometri, e vincitore nella grande Mela nel 1986. E a Poli, ma anche a Orlando Pizzolato che a Central Park è arrivato a braccia alzate nell’84 e nell’85, la Nycm la vita l’ha cambiata davvero. Tant’è che su quelle vittorie hanno costruito una carriera anche dopo aver appeso le scarpette al chiodo. E non solo a loro. La vita un po’ la cambia a tutti perchè per un maratoneta correre a New York è il coronamento di un sogno che ti resta dentro perchè c’è una città che ruota attorno a una corsa. E uno se ne accorge nel momento esatto in cui sbarca al Jfk, gira per i negozi, passeggia per le strade, corricchia a Central Park. Un business enorme che oggi sfiora i 400 milioni di dollari, che porta milioni di newiorchesi sulle strade a correre e a tifare, che permette alla Nbc che trasmette la diretta di fare un audience di 315 milioni di spettatori. Nel 1970 quando l’avventura cominciò al via c’erano 127 podisti, stamattina quando un colpo di cannone darà il via dal ponte di Verrazzano a partire saranno in 55mila. E ci sarà un momento che sul traguardo di Central Park il sindaco di New York Bill De Blasio si troverà a premiare il milionesimo concorrente che passerà il traguardo. É il boom della corsa, il boom della maratona che per gli americani è la sfida possibile, l’alibi per poi sedersi sulla tavola di un fast food senza sensi di colpa, è la svolta salutista che Michelle Obama, quando arrivò alla Casa Bianca, chiese a Dean Kanarzes l’ultramaratoneta che Time ha inserito tra i 100 uomini più famosi d’America: «Siamo un popolo sovrappeso- gli disse- Devi farci correre…» E così ora corrono in tanti. E New York è la terra promessa, con i suoi pettorali che, nonostante costino anche 500 dollari, devono essere contingentati per dare una possibilità a tutti gli americani di cucirselo addosso almeno una volta nella vita. É l’America che conosciamo, che ti dà sempre una possibilità. E la maratona di New York è la vetrina perfetta. Con centinaia di Paesi collegati in mondovisione è la scena ideale per ogni tipo di impresa. Per ricordare, per celebrare, per denunciare, per sostenere una battaglia. Chi vuol far sapere qualcosa al mondo viene a correre a New York. Anche noi. Anche un «mostro sacro» della maratona mondiale come il professor Gabriele Rosa che qui ha vinto tante volte con i suoi atleti keniani con Martin Lel, con Paul Tergat e che ora fa correre i ragazzi di San Patrignano o le donne che hanno battuto il tumore al seno con la Fondazione Veronesi. E finisce sulla prima pagina del New York Times. Storie. Migliaia di storie. Come quella di David Babcok, docente universitario del Missouri che oggi correrà lavorando a maglia o come quella di Jonathan Mendes, ex marine e veterano di guerra, che domani compirà 94 anni e parteciperà pewr la tredicesima volta. O come quelle di Valeria Straneo, l’unica azzurra che oggi correrà con qualche possibilità di vincere la 44ma edizione, e Stefano Baldini che qui non ha mai vinto ma in maratona è il campione olimpico di Atene. Quest’anno per la seconda volta sarà al via come amatore, un( quasi) perfetto sconosciuto. Perchè torna? Perchè la maratona è un «virus» che ti resta dentro per sempre. E quella di New York un po’ di più. Provare per credere.

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