10984609_969370729748141_6806191782704275983_nSe va avanti così il sindaco di Livorno Filippo Nogarin dovrà organizzarsi almeno con la banda per accoglierlo all’aeroporto di Pisa. Domenico Passuello dopo aver vinto una decina di giorni fa il mezzo Ironman di Putrajya, in Malesia,  l’altroieri ha concesso il bis a Taiwan ma sulla distanza doppia, quella più dura e affascinante, diventando così il secondo azzurro a scrivere il suo nome nell’albo d’oro del circuito Ironman dopo la vittoria di Daniel Fontana lo scorso anno a Los Cabos in Messico.  Quattro chilometri a nuoto, 180 in bici e una maratona bastano e avanzano per capire se un triatleta è un “uomo di ferro”. Se poi alle tue spalle finisce gente come il campione del mondo  Craig Alexander  che in Malesia ha reso all’azzurro gli onori delle armi, allora ti rendi conto che puoi pensare in grande. E Passuello in grande ci pensa da un po’.  Almeno da un paio d’anni, da quando ciòè ha smesso di lavorare nella piccola azienda di suo zio a Livorno per  dedicarsi a tempo pieno alle gare.  Nuoto, bici, corsa ma soprattutto bici perchè lui arriva da lì, ex pro prima con la maglia della Quick Step e poi con quella dell’Amore e Vita. Che per divertirsi poteva anche bastare ma per fare sul serio no. Così ha fatto in fretta a mettere da parte la sua storia  perchè, da toscano “sveglio”, ha capito in un amen che il triathlon era tutta un’altra cosa. A cominciare dal nuoto che,  per uno che qualche lustro fa andava in piscina solo la domenica con gli amici,  era tutto da costruire. E dai primi tuffi in Australia convinto da un’amica il 37enne toscano ha costruito eccome. Mattone su mattone fino a tenere la scia dei primi anche in acqua. Fino a dimezzare distacchi e minuti. E da allora molto è cambiato. Tutto è diventato più facile. Perchè la bici è rimasta ciò che è sempre stato. “Quando riesco a star vicino ai migliori in acqua poi le gare sono tutta un’altra storia- mi aveva raccontato l’anno scorso dopo aver vinto il Challenge di Rimini– Io in sella sono a mio agio perchè la mia storia sportiva comincia dal lì…”. Con un cruccio. La differenza in bici ormai la fai solo nelle gare dove non c’è la scia. Altrimenti a ruota ti si attaccano in tanti. E negli Ironman la scia non c’è. Così i conti tornano. Così sono tornati in Malesia e così sono tornati a Taiwan. Dove Passuello in bici ha fatto la differenza ma poi ha tenuto bene anche in corsa perchè una maratona chiusa in 2ore e 55 minuti non è cosa da poco. Otto ore 25 minuti e 54 secondi  di fatica davanti allo svedese  Fredrik Croneborg,  (8h28’37”) e allo statunitense Patrick Evoe (8h40’58”). Otto ore e venticinque minuti di fatica per colorare ancora un po’ di più d’azzurro un mito americano inventato su una spiaggia hawaiana da manipolo di marines mezzi ubriachi. Per dargli l’accento delle sue parti, per spiegare a quelli che masticano solo inglese che ci sono uomini d’acciaio anche sulle coste etrusche e non solo sugli Oceani.  Con una regola però che per Passuello è anche un po’ una filosofia: < Sono abituato che nella mia vita tutto deve entrare un po’ alla volta e nel modo giusto. E’ un po’ come un puzzle. E io devo riuscire a comporla bene…”. Me l’aveva raccontato un anno fa. Ma vale sempre.
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