119th Boston MarathonLa maratona sono tante storie. Ognuno la sua. Anche a Boston perchè da Hopkinton, nel Massachusetts, fino in centro sono 42 chilometri di leggenda scritta sull’asfalto della corsa più antica e forse più dura del mondo con quella sua collina spaccacuore a dieci chilometrii dall’arrivo. Storie che si intrecciano e che spesso ritornano. A cominciare da quella del vincitore, Lelisa Desisa, un 25enne dell’Etiopia che al 4o chilometro ha accelerato ed è andato a vincere la 119ma edizione in 2 ore e nove minuti.  Nessun record, ma poco importa. Aveva vinto anche due anni fa.  E fece ciò che fanno i vincitori: sorrise, alzò le braccia e poi salì sul podio a ritirare una di quelle medaglie che ti cambiano la carriera.  Ma tre ore dopo le due bombe dei  fratelli Tsarnaev scrissero tutta un’altra storia, che di sportivo non aveva proprio nulla . E Desisa non ebbe il coraggio di tenersi al collo una medaglia sporca di sangue. Così la rese agli organizzatori, la donò alla città per un omaggio alle vittime. E domenica è tornato a riprendersela perchè lo sport, spesso, rende onore ai grandi gesti. E tra i tanti che avevano un credito col destino al via c’era anche Rebekah Gregory. La giovane texana di 27 anni quel 15 aprile del 2013 aveva da poco terminato la corsa. Era accanto al compagno e al figlio quando la scheggia di una bomba le portò via una gamba. Dopo una serie inifinita di operazioni cinque mesi fa ha deciso di farsi amputare l’arto sotto il ginocchio e di sostituirlo con una protesi. E domenica è tornata anche lei, come Desisa, a saldare il suo conto. E’ tornata per scrivere la sua storia di maratoneta che non voleva interrompere e per dimostrare a tutti ma principalmente a se stessa che non si deve darla vinta ai fanatici. Ma domenica a Boston sono tornati in tanti.  Perchè poi ognuno ha una sua storia da riannodare, da continuare a scrivere o riscrivere. E 25 anni fa, 16 aprile del 1990, dopo il bronzo mondiale del 1978 e l’oro ai Giochi del 1988, Gelindo Bordin da queste parti scriveva un pezzo di storia che non cancellerà più nessuno:  primo in 2:08’19” e primo campione olimpico a vincere anche a Boston. Mai più successo. Gelindo  25 anni dopo è tornato perchè anche queste sono nozze d’argento. Perchè passa un quarto di secolo ma quella febbre lì ti resta dentro. Perchè la passione va al di là della fatica, della logica e del tempo che passa. Quattro ore e spiccioli. Quattro ore per rivivere tutte le emozioni di allora, metro dopo metro, applauso dopo applauso, dolore dopo dolore. Ma alla fine vale sempre la pena. Non conta l’età. Così come sembrano non contare i i 43 anni di Danilo Goffi. Lui non aveva conti in sospeso da queste parti. Boston era un sogno che aveva nel cassetto e spesso i sogni si avverano: primo italiano, primo master, secondo europeo e 15° assoluto col tempo di 2:18’44”. L’aveva promesso ed è stato di parola. Senza troppi proclami, senza porsi limiti. Per Goffi era la prima volta. Ma Boston è quasi sempre uan storia che torna. E non è detto che torni anche lui…

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