Non c’è pace. I camion e i motorhome appena rientrati dal Tour de France scaricano, ricaricano e sono pronti a ripartire per il Giro di Polonia e per la classica di San Sebastian che si corre sabato in Spagna. Il quartier generale della Lampre Merida a Usmate Velate è un formicaio di persone che sanno cosa fare. E fanno. I meccanici, smontano, lavano e rimettono a nuovo le bici che hanno appena finito la «campagna» di Francia, i tecnici sistemano le attrezzature sui truck, i direttori sportivi e la squadra preparano trasferte e strategie. Parte da qui, dal cuore della Brianza mobiliera, la sfida italiana al ciclismo che conta. Una volata sui traguardi mondiali che quest’anno conta già 23 vittorie tra cui quattro tappe dl Giro e una alla Grande Boucle e contro il nuovo strapotere dei grandi team britannici e russi che hanno budget inarrivabili e sponsor che investono quanto neppure si immagina. Così per giocarsela bisogna essere veloci nel pensiero e svelti a districarsi tra le ruote come era in gara un fenomeno assoluto come Beppe Saronni, oggi general manager: «Vero è una lotta impari però noi proviamo a tener botta- spiega- Dobbiamo fare i conti con squadre economicamente molto più forti di noi ma anche con sistema che ormai non è più sostenibile. Dai grandi Giri e dal Tour le squadre non hanno contributi se non rimborsi spese e, contrariamente a quanto succede nel calcio e negli altri sport, da noi se un grande team come Sky o Astana viene a prendersi un giovane corridore su cui abbiamo investito non è che ci paga un cartellino…». Va così. Va che l’ultimo Tour de France porta milionari guadagni alla Aso, la Amaury Sport Organisation che lo organizza e che poi è la stessa della Parigi Dakar e del Roland Garros, ma non alle le squadre e ai corridori che fanno lo show. «Ed è un po’ come se per un film di successo girato ad Hollywood non ci fosse nessun compenso per gli attori protagonisti- spiega Saronni- Chiaro quindi che qualcosa va cambiato». Così qualcosa si muove. Le squadre ciclistiche si organizzano e provano a far sentire la loro voce coalizzandosi in «Velon» una società che per ora raccoglie 11 team del Worl Tour pronti a sedersi al tavolo con gli organizzatori per ridiscutere le regole. «Non è una guerra. Siamo pronti a parlare e a collaborare- spiega il general manager Lampre- Se vogliono un ciclismo più spettacolare, con telecamere sulle bici, con le telemetrie dei corridori in tempo reale noi non facciamo difficoltà. Ma una maggiore autonomia economica che permetta di non dipendere solo dagli sponsor farebbe il bene di tutto il movimento». Anche perchè nonostante il successo del Tour e i record di ascolti di sempre in tv, non è che in Italia gli sponsor facciano la coda per finire sulle maglie delle squadre. «L’effetto Nibali c’è e meno male che c’è- spiega il campione del mondo di Goodwood- anche se in questo Tour non è andato come sperava. Nella prima parte Vincenzo ha fatto fatica poi è andato meglio. Ma è chiaro che fa parte di una squadra che l’ha preso per vincere quindi sono molto esigenti». Si vince e si perde. Come sempre nello sport e il ciclismo non fa eccezione. Anche se uno come Saronni era più abituato vincere che a star dietro. E allora tanti discorsi e tante polemiche lasciano il tempo che trovano se c’è una tappa da andarsi a prendere: «Nibali che scatta quando a Froome cade la catena? Non so se l’abbia visto o no ma poco cambia. Sinceramente questa storia del fair play in corsa mi ha un po scocciato. La corsa è corsa, non è che si può neutralizzare ogni volta che succede qualcosa…».