nibali1E ora tutti addosso a Vincenzo Nibali, è’ il nostro sport preferito.  Per carità, ha sbagliato. Ha fatto una stupidaggine che mai avrebbe dovuto fare perchè un campione si vede anche in queste cose ma sbatterlo fuori dalla Vuelta è una follia e soprattutto ingiusto. Sacrosanto punirlo ma sarebbe bastata una multa o una penalità per tante, ottime ragioni. Almeno dieci.
1)LE SCUSE. Ieri notte, su Facebook sono arrivate le scuse del siciliano. Un atto dovuto diranno quelli che non perdonano. Ma intanto sono arrivate e sembrano anche sincere. E in un mondo dove pochissimi, quesi nessuno, chiede più scusa per nulla questo è un bell’atto di umiltà.
2)COSI’ FAN TUTTI. Non è Nibali il primo che si fa tirare da un’ammiraglia. Non è il primo e non sarà l’ultimo. Nella storia delle grandi corse a tappe basterebbe dare un’occhiata al gruppo che cerca di stare nel tempo massimo nelle tappe di montagna per scoprire che tra moto, auto, gomiti dei gregari che magicamente si agganciano è tutto un viaggiare a scrocco. E lo sanno tutti.
3)LA CADUTA. Il capitano dell’Astana è rimasto intruppato in una mega caduta a una quarantina di chilometri dal traguardo. Capita. Era capitato anche al Tour. Ora non dico che gli organizzatori che hanno neutralizzato il prologo per correre sulla spiaggia avrebbero dovuto neutralizzare la gara come fece Christian Prudhomme, ma valutare la situazione prima alzare un cartellino rosso magari sì.
4) C’E’ GANCIO E GANCIO. Vincenzo Nibali approfitta della tirata della sua ammiraglia per rientrare in gruppo dopo una caduta. E non si fa. Però basta dare un’occhiata all’ultimo Tour o all’ultimo Giro per vedere che tutti i corridori che restano attardati sfruttano la scia delle ammiraglie per rientrare in gruppo e senza farsi troppi problemi. Certo, non è proprio la stessa cosa ma il principio è lo stesso.
5) LE GAMBE. L’azzurro si aggancia all’auto della sua squadra per recuperare un distacco dopo essere finito sull’asfalto. E sarebbe stato completamente differente se avesse approfittato del vantaggio per incrementare una fuga o per andare a vincere una tappa. E anche se l’avesse fatto per stare in gruppo perchè non aveva più gambe o vittima di una crisi.
6)L’ADRENALINA. Finire a terra a 50 all’ora non è mai piacevole. Ma chi corre in bici  sa che se capita in gara è ancora peggio. Vale per i dilettanti fiigurarsi per un professionista. In pochi secondi vedi svanire tutto il lavoro e le fatiche che hai fatto per essere lì. Vedi gli altri che si allontanano ed è difficle tenere collegati i cavi della logica al cervello. Quindi ci sta che uno perda per qualche secondo il senno.
7) LA PRESSIONE. Vincenzo Nibali alla Vuelta forse non ci doveva neppure andare. Gira voce che Vinoukourov l’abbia portato lì, con Aru e Landa, per fargli capire che aria tira all’Astana. E non è aria buona se un capitano parte non sapendo su chi può contare e con la prospettiva di fare il gregario non si sa bene a chi…
8)IL DIRETTORE SPORTIVO. Nibali ha sbagliato ad attaccarsi all’ammiraglia ma chi era al volante ha fatto peggio (molto peggio) permettendoglielo. Chiaro che un corridore appena caduto, in ritardo, che alla seconda tappa si vede già fuori dalla generale perda la testa. Ma un direttore sportivo dovrebbe essere lì al suo fianco proprio per farlo ragionare. E chi era alla guida dell’ammiraglia ieri non ha fatto nulla per dargli una mano.
9) LA PENA. Non ci sono dubbi: Nibali ha fatto una cosa che non sta nè in cielo nè in terra e andava punito. Ma non bastavano un’ammenda salata e una penalizzazione? Il cartellino rosso è un’esagerazione anche perchè non è che attaccandosi all’ammiraglia il siciliano ha vinto la tappa. Poi però se Maradona fa goal con la mano e vince una partita del mondiale contro l’Inghilterra divenata la “mano de Dios…”
10) L’UOMO. Viva l’uomo. Viva il coraggio di chiedere scusa e viva il coraggio di sbagliare. In un mondo, anche nello sport, dove si tende sempre più a ragionare per calcoli, tabelle, dove tutto ciò che si fa deve necessariamente portare a un risultato calcolato la “cazzata” di Nibali è lì per ricordare che c’è sempre una variabile. E meno male che c’è.