IMG_2022Le storie di un  festival possono anche essere storie di sport che vincono nelle notti della Valle di Comino terra di “mezzo” dove la Ciociaria accarezza Abruzzi e Molise, come si diceva una volta .  Il copione disegnato da Vittorio Macioce per il suo Festival delle Storie anche quest’anno trova spazio e tempo per misurarsi sul campo sportivo-culturale con due grandi campioni. E lo fa ad Atina dove si gioca la carta del gelso. Il Gelso fa da protagonista nella giornata di Atina: è la strada che non conosci. E’ l’altrove. E’ andare lontano e superare i confini. E’ navigare e salire. E’ Ulisse e Marco Polo. E’ una corda lanciata nella roccia. Così arriva anche la lunga fatica solitaria di Marco Olmo con il suo Corridore e arriva il romanzo sul ring (Sparviero), raccontato da Fabio Rocco Oliva con Patrizio Oliva, un uomo che è un romanzo! Così come il Corridore Olmo e’ ultra campione perché si sente semplicemente uno di noi. Uno che ieri mattina ha corso – rigorosamente in salita – anche qui, “in valle”. Uno che la corsa è lunga come la vita. Uno che la corsa è una storia di grandi vittorie dall’Ultra trail du MOnt Blanc alla Marathon de Sable. Uno che i francesi chiamano “profilo d’aquila”. Uno che è un incrocio tra un camoscio e un dromedario. Uno che sa sul serio cos’è la fatica perchè nella vita ha lavorato sodo. Uno che correrà fino alla fine: “come gli animali…” E lo dice lui.

 

Una delle cose più belle della corsa e che quasi sempre ti dà la possibilità di stare da solo. Qual è il suo rapporto con la solitudine?
“Da solo io ci sto abbastanza bene, mentre corro, nei boschi ci sto benissimo…”
Si parla tanto di benessere, di corsa come terapia: poi però in tanti decidono di iscriversi a gare massacranti dove la fatica diventa un tormento. C’è una logica?
Si sta esagerando un po’. Alcuni anni fa non si facevano tutte queste gare estreme , se ne correvano una o due all’anno. Adesso sembra che tutti siano diventati superuomini, io però non mi sento un superuomo. Ho mollato un po’ le gare, ne faccio ogni anno meno e ogni volta di meno lunghe: dico sempre che la gara deve essere più soddisfazione che dolore. Altrimenti è meglio abbandonare e lasciare perdere. Se la gara diventa una tortura al punto che devi arrivare zoppicando non penso che abbia un gran senso. Io abbandono se ho dei problemi, se non va bene. Perché devo torturarmi…”
C’è gente che corre per vincere, per dimostrare qualcosa a qualcuno o a se stesso, che corre per scommessa, per sfida o per rivincita. Lei per cosa corre?
Ho iniziato così per una sfida fra amici e poiché arrivai ultimo ho continuato per dimostrare che potevo fare qualcosa di meglio. Che potevo migliorare. Quindi una sfida, una rivalsa anche per la gente del paese mi vedeva correre e rideva. Per chi diceva che ero vecchio, per dimostrare che riuscivo, che  ero cocciuto”
Ci sono campioni che si dopano per vincere, amatori che si dopano per arrivare primi tra gli amici del bar. Ultramaratoneti che si dopano per alleviare la fatica, altri per cultura o per ignoranza. Può esistere lo sport senza il doping?
“Lo sport senza doping io l’ho fatto e lo faccio. Ho avuto controlli antidoping alla Marathon de Sable, all’UltraTrail de Mont Blanc e anche adesso potrebbero venire a controllarmi o domattina o quando vogliono. Io dico sempre che ognuno è padrone del suo corpo e doparsi è come modificare la centralina al motore di una macchina: va di più, però, se si rompe il motore della macchina lo cambi, se si rompe il nostro hai finito lì. Muori.  Già quando sei in gara hai delle endorfine e dell’adrenalina che  produce il tuo corpo che ti fanno andare anche oltre. Incentivare le prestazioni  con le droghe che non ti fanno sentire dolore è il peggio che puoi fare. E’ nocivo. Ognuno poi paga o con la sua coscienza o con la sua salute. E prima o poi il conto arriva sempre”.
Lei ha alle spalle una vita di lavoro, a volte anche lavori umili. Quanto questo l’ha aiutata a diventare Marco Olmo mito delle corse di lunghissima distanza?
“Guidavo i camion e poi ero su una ruspa in una cava… Forse mi ha aiutato perché era un mestiere un po’ fuori dal normale e forse uno che ha fatto quei mestieri lì è più abituato a sopportare la fatica di uno che lavora in un ufficio, fa il professionista e poi il corridore… Se uno lavora in una cava e poi dopo 8 ore va ad allenarsi vuol dire che ha dentro qualcosa. Se hai voglia di uscire a correre anche quando sei sfinito dopo una giornata di lavoro, dopo esserti alzato alle cinque vuol dire che la corsa per te è qualcosa di importante ”
Per fare le ultra-maratone, per attraversare deserti, per passare giorni e giorni in viaggio correndo o camminando bisogna essere in pace con se stessi. O qualche conto in sospeso con qualcuno?
I conti in sospeso a volte si hanno  con il mondo intero. E allora si ha voglia di dimostrare che ce la fai…”
Cos’è la fatica per un ultra-maratoneta? Una dimensione necessaria? Il passaggio obbligato per raggiungere un obbiettivo? Il prezzo da pagare per vivere qualche attimo di felicità? Oppure la fatica non esiste…
La fatica esiste eccome.  Nel lungo, in una gara lunga, non c’è una fatica molto intensa ma una fatica lunga. La fatica intensa te la trovi in una gara di 10 km che tiri alla morte. In una gara lunga, invece, quando hai finito a me è successo spesso di pensare che ho vinto ma non ho tirato alla morte. Quando va così, hai controllato, hai corso alla Niky Lauda. Se tiravi non finivi la gara. Hai fatto il calcolatore. A volte c’è più soddisfazione nell’arrivare cinquantesimo in una gara di 10 km che non è la tua gara, dove ti sei espresso, hai tirato alla morte e alla fine ti sei piegato in due dalla fatica…”
Cosa farà Marco Olmo quando smetterà di correre?
Non so, per adesso non smetto, con le gare vedo quasi la fine, l’orizzonte… Cerco di correre fare gare corte di ritornare magari a fare gare su strada di 10 chilometrie comunque rimanere un po’ nell’ambiente perché mi piace. Smettere? Ci penserò..
Dalla corsa ci si può prendere pause di riflessione?
Alla mia età non è possibile prendere pause di riflessione, che pause posso prendermi? Quando ho preso la pausa sono …. arrivato”
I giornalisti, la gente, le interviste: un lato bello o solo qualcosa in più da sopportare?
Sono il prezzo che dsi deve pagare per essere risucito a fare qualcosa. Fa parte del conto, ti trovi lì per un’intervista e anche questo ti serve per dimostrare a chi non credeva in te che sei riuscito a fare qualcosa. L’altro giorno è venuto a casa mia un giapponese  per intervistarmi con la sua troupe: beh, non so quanti a  Robilante abbiano ricevuto un giornalista giapponese in casa… E questo fa piacere!