Alex Schwazer va. E’ tornato quello dei tempi d’oro,  anche nei giorni  scorsi ha fatto segnare il miglior sesto tempo mondiale sui 20 chilometri di marcia e quindi vede farsi sempre più concreta la possibilità di andare ai Giochi di Rio.  A rasserenalo potrebbe arrivare anche uno sconto di pena per Carolina Kostner che poco o nulla aveva fatto e che, per proteggerlo, era finita nei guai. Tutto per il meglio quindi. E a di là dell’enfasi sicuramente eccessiva che, nel bene e nel male, c’è sempre attorno al marciatore altoatesino c’è da gioire. Perché il ragazzo pare recuperato, perché era giusto concedergli una seconda chanche e perchè ( e forse è proprio questo il senso di questa operazione così tanto reclamizzata) a conti fatti potrebbe essere l’unica medaglia dei Giochi brasiliani. Anche se la domanda che si fanno in tanti è perché uno Schwazer così forte e ora controllatissimo e lontano da qualsiasi tentazione,  abbia mai avuto bisogno di doparsi a Londra? Ma questo è un altro discorso. Il discorso vero invece è un altro e, in un Paese che reclama giustamente pari opportunità per tutti in ogni campo,  suona parecchio stonato. Schwazer ha sbagliato, in qualche modo ha pagato e, sempre in qualche modo, gli è stata concessa una seconda possibilità. Ognuno può pensare ciò che vuole ma è giusto così. E non ci sarebbe nulla da dire se fosse così per tutti. Ma purtroppo così non è. E per rendersene conto basta dare un’occhiata alla lettera che poche settimane fa Davide Rebellin ha scritto alla Gazzetta dello Sport dopo aver vinto  la Coppa Agostoni e, dopo essere stato assolto dalle accuse di doping ed evasione fiscale che gli hanno cambiato la carriera ma anche la vita: «Il 30 aprile 2015, dopo sette anni di processo interminabile, la sentenza del tribunale mi è stata favorevole con l’assoluzione piena dall’accusa di doping ai Giochi Olimpici 2008 e di evasione fiscale- scrive Rebelllin–  È stata una lunga battaglia, più estenuante di qualsiasi corsa, ma è la vittoria più giusta e più importante della mia carriera… Non voglio rifare il processo (la giusta sentenza finale è la cosa più importante), ma vorrei solo dire che non ho mai avuto risposte e spiegazioni nonostante le numerose procedure dei controlli non rispettate, come per esempio campioni di sangue spariti, andati tra le mani di…non sappiamo chi. Ho subito ingiustamente una squalifica di due anni, ma è come se fosse stata di sette: al mio rientro nel 2011 ho avuto tante porte chiuse da parte di alcuni organizzatori, manager e media, perdendo più energia nel cercare di poter fare il mio lavoro in modo giusto e dignitoso che nel fare pesanti allenamenti e pochissime gare. Sarebbe stato più semplice arrendersi…. Sono stati sette anni di calvario con la paura che tutto andasse in prescrizione, quando invece per me era importante che la sentenza arrivasse prima per avere l’assoluzione piena. Finalmente la giusta sentenza è arrivata. Ma chi mi ridà quello che mi è stato tolto? Corse a me tanto care come le grandi classiche dove mi è stata negata la possibilità di partecipare, visibilità, possibilità di essere in grandi squadre, la medaglia Olimpica, la serenità personale e familiare. Chi riparerà la tristezza di mia moglie che mi ha conosciuto e amato nel periodo più difficile della mia vita e ha dovuto subire anche lei questa situazione ingiusta vedendo considerato suo marito alla stregua di un criminale, quando invece criminale era questo accanimento nei miei confronti senza mai voler ascoltare la mia verità?”. Lo sfogo di Rebellin alla Gazzetta continua. Ma può anche bastare così. Perché e più che sufficiente a capire che doping, sospetti di doping, ingiustizie, riscatti, assoluzioni piene, assoluzioni parziali, seconde chanche e nuove possibilità non sono mai uguali per tutti. Funziona così. Funziona così in un Paese dove le logiche a volta non hanno logica.