12805661_10208609139082745_464348493777587167_nCome Fausto Coppi, come Francesco Moser che 40 anni fa a Monteroni vinceva l’oro nell’inseguimento. Diciannove anni dopo l’ultima vittoria mondiale azzurra in pista firmata da Silvio Martinello a Perth nella gara a punti.  Filippo Ganna si mette al collo l’oro nell’inseguimento sulla pista di Londra ed entra dalla strada maestra nella bacheca della gloria ciclistica azzurra. Un’impresa più grande dei suoi diciannove anni proprio  nel tempio di Bradley Wiggins,  dopo 4 chilometri a tutta volati a 56,222 chilometri orari,  spingendo un 54×14 che non ha dato  scampo al tedesco Domenic Weinstein. Ma il diciannovenne di Verbania in qualifica aveva addirittura fatto meglio fermando il crono a 4.16.127 che da ieri è il nuovo record italiano che spazza via il 4.19.53 di Andrea Colinelli firmato ai Giochi di Atlanta e che resisteva dal 1996. Viva Filippo Ganna quindi. Viva questo ragazzone di un metro e 93 centimetri  che in bici ha la potenza di un treno e la compostezza dei grandi. Viva il nuovo eroe del pedale azzurro . Viva  il suo abbraccio incredibile con il ct azzurro della pista Marco Villa che aveva capito tutto subito e prima di tutti. Viva la pista italiana ritrovata che stasera con Elia Viviani potrebbe raccogliere un’altra fetta di gloria. “Viva l’Italia metà dovere e metà fortuna …> come cantava De Gregori che ora si ritrova sulla luna, inaspettatamente come capita in un Paese che più che sui programmi conta sui talenti . Però, smaltita l’euforia, qualche domanda bisognerebbe farsela.  La pista in Italia è sport dimenticato, sepolto sotto le macerie del Palasport di Milano che trent’anni fa, proprio in questi giorni, veniva seppellito da una nevicata tremenda che ne decretò la fine. Senza nulla togliere all Sei Giorni dei Fiori che si corre sulla pista all’aperto dei Fiorenzuola ed è una splendida realtà, l’ultima Sei Giorni disputata nel nostro Paese  si corse lì. Poi più nulla.  Inutili i tentativi di rianimare una tradizione agonizzante che in mezza Europa  continua e da noi ora aspetta una scossa che potrebbe arrivare dai lavori di ripristino della pista del Vigorelli rimasta abbandonata per decenni. Un’agonia che ha sbiadito la storia di sprint,  di trofei Baracchi, di tappe del Lombardia e del Giro. L’Italia dei Velodromi  non esiste più da un pezzo e atleti, tecnici e nazionali fanno i salti mortali per stare al passo con un movimento che va veloce in Gran Bretagna, Olanda, Francia, Danimarca e in tutti i paesi nordeuropei ed ex sovietici dove questa disciplina continua ad avere  un seguito enorme. Noi siamo rimasti al palo.  Elia Viviani (e da ieri  Filippo Ganna) sono le eccezioni di un ciclismo che da noi viene considerato ( a torto) antico, distrutto negli ultimi anni in favore di una ossessione stradale che ha dettato scelte e investimenti. Ciò detto Filippo Ganna è il sesto azzurro a vincere un mondiale nell’inseguimento: prima di lui ci erano riusciti Fausto Coppi, Antonio Bevilacqua, Guido Messina nel , Leandro Faggin nel 1, Francesco Moser a Monteroni nel 1976 e l’ultima medaglia in questa specialità era stata il bronzo di Mauro Trentini nel 1999. Ha diciannove anni e fa parte di una squadra giovane e di talento che sta crescendo ma più che scommetterci bisognerebbe crederci. Ed investire. Come aveva detto qualche tempo fa il ct azzurro  Marco Villa in un’intervista ad Avvenire: “«Dobbiamo credere nella pista come nella strada.  I ragazzi e anche tanti tecnici giovanili dovrebbero capire che la pista non fa male, anzi, è esattamente l’opposto. Basta guardare l’esempio di tanti corridori come Mark Cavendish e Niki Terpstra…”