petMa chi glielo ha fatto  fare a uno che è campione del mondo che quest’anno ha vinto anche  il Giro delle Fiandre, la Gand Wevelgem e tre tappe al Tour e che poteva tranquillamente dire la sua sua nelle gara olimpica su strada  di andare a rischiare l’osso del collo in mountainbike? Chi glielo ha fatto fare di andare a rischiare una figuraccia e di andare scatenare l’invidia di specialisti e campioni che si preparavano per la sfida olimpica da quattro anni? E chi glielo ha fatto fare di  risalire in sella ad una mtb dopo otto anni e dopo un’esperienza che sembrava morta e sepolta visto anche  il futuro (e  il presente) che ha già garantito nel ciclismo che conta? Peter Sagan, un paio di giorni fa, sul circuito olimpico di Deodoro, ci ha messo un quarto d’ora per mettere a tacere i maligni e dar risposta a tutte queste domande. Quindici minuti per risalire da posizione 47, in ultima fila, quella da cui partiva fino alla testa del gruppo con una facilità disarmante per poi andare in fuga con Nino Schurter che ha poi vinto l’oro e il nostro Marco Aurelio Fontana che probabilmente con lo svizzero se la sarebbe giocata fino alla fine se non avesse bucato. Stesso punto, stessa sorte anche per Sagan che però era lì. Era lì a ruota. Incredibilmente a suo agio, come se da quella mountainbike arancione fluo non fosse mai sceso, come se fosse ancora il 2008 quando era iridato juniores, come se pedalare sullo strappo di Richmond dove, con una “fucilata” ha vinto il mondiale, e sulla pietraia del Rock Garden olimpico fosse la stessa, identica cosa.  Non c’era bisogno della gara olimpica in mtb per scoprire che questo campione di 26 anni che pizzica il sedere delle miss sul podio è un fenomeno. Non c’era bisogno di vederlo tranquillamente stare con i primi tra fango, salti e pietre per capire che uno così, se ha voglia, tra quattro anni è capace anche di andare a giocarsela nelle Bmx. Non c’era bisogno ma è servito perchè l’olimpiade nonostantee tutto resta un sogno ed anche un professionista che ha contratti e sponsor sostanziosi per una volta ha scelto  non ciò che doveva ma ciò che gli piaceva. Ha seguito  il cuore insomma. Pronti ad essere smentiti ma la sensazione è che la gara in mountainbike di Sagan sia davvero un gesto olimpico alla ricerca di un sogno.  Un piccola ribellione al copione già scritto del business. Ed è un po’ come vincere un mondiale di ciclismo tra i pro, essere inviati da organizzatori e  sponsor alle cena di gala , ed andarsene invece in un pub di Richmond a festeggiare con quattro amici e una birra. Sagan può. Sagan lo fa. Ma Sagan è Sagan…