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New York vale il viaggio. Sempre. Ma quando c’è la maratona forse di più. «E’ lunica che può cambiarti la vita. Se vinci da qualche parte del mondo diventi un atleta di primo piano ma se vinci a New York diventi famoso..» racconta ogni volta che glielo chiedono Gianni Poli, un pezzo di storia della nostra maratona, il primo azzurro a scendere sotto le 2ore e 10 minuti sui 42 chilometri, e vincitore nella grande Mela nel 1986. Esattamente trent’anni fa. E a Poli, ma anche a Orlando Pizzolato che a Central Park è arrivato a braccia alzate nell’84 e nell’85 e a Giacomo Leone primo nel ’96 la Nycm la vita l’ha cambiata davvero. E non solo a loro. La vita un po’ la cambia a tutti perchè per un maratoneta correre a New York è il coronamento di un sogno che a volte ti fa nascere e rinascere. O almeno ricominciare. Nel 1970 quando l’avventura partì al via c’erano 127 podisti, domenica mattina quando un colpo di cannone darà il via dal ponte di Verrazzano a scattare saranno in 50mila. E in quel fiume di gente c’è dentro di tutto, con la corsa che diventa il modo per riscattarsi, per prendersi una rivincita, per dimostrare a se stessi che non c’è difficoltà, sfortuna, malattia o destino contro cui non si possa lottare, combattere e magari vincere. Basta crederci e basta volerlo.  New York sono tante storie. Molte come questa, altre diverse ma tutte da raccontare. E la maratona diventa la striscia disegnata di Capitan America. Diventa la storia di Niccolò Vallese, ragazzo con sindrome di Down, che i grattacieli li ha immaginati solo in quei fumetti e che lavora come maitre di sala nell’«Albergo Etico» di Asti, una scuola di formazione che oggi ha inserito 30 ragazzi come Niccolò in bar , ristoranti, esercizi commerciali. E li ha resi autonomi. Niccolò non aveva il coraggio di andare in sala, oggi conosce a perfezione la lista dei vini e gestisce con la disinvoltura che serve 40 coperti. New York era il suo sogno e domenica diventerà il pezzo più importante della sua vita: «Ancora non ci credo- racconta- Ho capito che parto ma finchè non parto… La corsa? Non so, arriverò fino in fondo e quello sarà il momento più bello delle mia vita…». Niccolò corre però ora ha anche un lavoro, gli hanno affidato le chiavi del ristorante, ha uno stipendio e con i primi guadagni ha fatto un regalo alla sua fidanzata: «Cosa le ho preso? Un orologio per correre, così viene con me…». Gli brillano gli occhi. Non solo a lui. A tanti come lui. Storie diverse ma tenute insieme da una corsa contenitore laico di speranze e vite da riconquistare. Dai ragazzi di San Patrignano che nella Grande mela ci tornano per la terza volta perchè lo sport, questo sport, è un via d’uscita. Furono Letizia Moratti e il dottor Gabriele Rosa del centro Marathon di Brescia ad avere l’idea. «Ora- racconta Antonio Boschini– il medico della comunità – se lei viene da noi alle 5 del pomeriggio trova 400 ragazzi che corrono sulle colline. La corsa è una terapia fantastica, non solo fisica, cambia la testa e New York è il traguardo di una vita che ricomincia». E allora la corsa può essere quella fantastica, elegante, veloce, incredibile del keniano Stanley Biwott che l’anno scorso ha vinto in poco più di due ore e quest’anno ci riprova, oppure quella di Maria Luisa, Luana, Andrea, Marina, Ivana Corinna o Francesco malati di sclerosi multipla ma in gara con «Correre oltre» per dimostrare che nonostante tutto, si può fare. Anzi. Per spiegare a chi soffre come loro che una speranza c’è. E bisogna andarsela a prendere: «Nove anni fa anni fa mi hanno diagnosticato la sclerosi e mi hanno detto che le mie gambe avrebbero potuto fermarsi- racconta Maria Luisa, 47anni avvocato- Ho pianto a dirotto e ho fatto amicizia con le flebo di cortisone. Poi però mi sono comprata un paio di scarpe da running e ho capito che con la corsa forse non sarei guarita ma sicuramente mi avrebbe aiutato a convivere meglio con la mia malattia. Ora la sfida è New York e domenica mattina con altri sei compagni di avventura saremo li a provarci…».  Si ricomincia. Si riparte dalla corsa e da una città che come dicono sempre con orgoglio gli americani una possibilità la regala a tutti. La maratona anche, anzi di più. «Io con i miei atleti la maratona di New York l’ho vinta 12 volte- spiega Gabriele Rosa, che con i keniani qui ha scritto la storia- Ma la corsa è anche altro. Questa maratona è altro. Lo sport è benessere e aiutando queste persone a costruire la loro sfida si arriva a un’estremizzazione che serve dare esempi e speranza. Si realizza un sogno, perchè mai queste persone avrebbero pensato di correre qui che fa bene a loro ma aiuta anche tanti nelle loro condizioni. New York è la cassa di risonanza perfetta per far partire questo messaggio». Vale per tutti. Vale per Luca, 30 anni, operaio con disabilità intellettiva realazionale emulo di Forrest Gump che corre da quando aveva dieci anni e che con l’associazione «Nonsolosport onlus» ha trovato la strada per partecipare anche agli Special Olympics. Corre per vivere, per tenere a bada il diabete e la maratona era il suo sogno. Figurarsi New York: «New York mi cambierà la vita- racconta- Parto e in cinque o sei ore spero di arrivare al traguardo. Solo allora mi renderò conto di cosa mi è capitato…». Luca ma anche, Mario, Giovanni oppure tanti altri. A caso. Un colpo di cannone è la maratona di New York può cominciare. E’ così da 46 anni, è così ogni volta e sarà cosi anche domenica. Tutti di corsa. Per vincere, partecipare, ricattarsi, gioire, piangere o riscattarsi. Ma anche per ricominciare. E magari rinascere…

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