nibali-chaves1Nel giorno in cui a Milano a terra c’è un  terrorista ucciso, in ospedale un agente ferito e i new  jersey sbarrano gli ingressi delle vie pedonali blindati dalle camionette dei militari, si fa un po’ di fatica a pensare che tra due giorni è Natale. E allora per trovare una foto che nella laicità assoluta dello sport ci riporti al senso della festa bisogna tornare un po’ indietro nel tempo. Bisogna tornare a giugno, mese del Giro d’Italia, alla penultima tappa. Esteban Chavez è in rosa Vincenzo Nibali insegue a una quarantina di secondi. Si giocano tutto e con il colombiano pedalano un Paese e i suoi genitori venuti in italia per la prima volta per festeggiare il loro ragazzo. Ma  Nibali fa il vuoto. Se ne va e va a prendersi una maglia rosa che pochi giorni prima sembrava un miraggio. Si guadagna  l’Olimpo. Ma il Giro lo vincono i genitori di Esteban Chavez regalando al suo avversario  l’abbraccio che avevano preparato per il figlio nel giorno che doveva regalare un sogno. Ai sacrifici di una vita, alla Colombia intera che non aspettava altro. Invece lo stesso abbraccio e gli stessi baci la mamma di Esteban  li regala a Vincenzo. Subito, senza indugio, senza pensarci e senza  aspettare perchè il cuore le dice  così. E’ solo un gesto. Ma è un gesto che spiega cos’è il ciclismo.  Un abbraccio che spiega tante cose e che questo è uno sport eterno, indelebile, che non morirà mai, che  non si cancella perchè si nutre di sentimenti. E l’abbraccio di una mamma all’avversario che batte suo figlio è l’essenza di uno sport dove il rispetto è ancora un valore che conta. Perchè una mamma certe cose le capisce. Sono sentimenti di gente semplice, che fa fatica, che è abituata a rimboccarsi le maniche. Gente che non parla di tattiche, che non ha conti in banca chissà dove nel mondo,  che spesso ha le mani grandi. Bastava guardarli i genitori di Esteban Chavez vestiti di rosa mentre Vincenzo, pedalata dopo pedalata, sfilava la maglia al loro figliolo. Non una smorfia, non un’imprecazione. Una composta delusione che dura un amen.  Vero per vero.  Un abbraccio che vale di più di tutto. Delle polemiche, dei rancori, di farlocchi terzi tempi che il nostro calcio ha provato a scimmiottare, di moviole e simulazioni. Già perchè nel ciclismo la simulazione non c’è. Vince il più forte. E chi perde lo abbraccia. E magari sorride. Che è anche un bel modo per ricordare che tra due giorni è Natale.