sanonL’Alpe di Siusi è un posto che ti lascia senza fiato. Sali fin lassù, ai duemila metri dell’altopiano più alto d’Europa, delle Dolomiti dello Sciliar, degli alpeggi e ti sembra davvero di avvicinarti al cielo. Qui la montagna è un mondo a sé: pochi hotel, gli impianti, le piste, la malghe che d’estate si raggiungono con i sentieri e d’inverno diventano vie per lo sci da fondo. Vento e silenzio, nulla più. Ma basta e avanza. Chiamarsi Kostner da queste parti è un po’ come chiamarsi Brambilla a Milano o Pautasso a Torino. Ma Raffaele Kostner lo conoscono tutti. E non solo perché fa la guida alpina da quasi mezzo secolo e vive in una malga a 1.800 metri dove fa l’agricoltore. Lo conoscono tutti perché a 64 anni ha scritto da volontario la storia del soccorso alpino. Per passione ma anche per intuizione perché, fondando alla fine degli anni Novanta l’Aiut Alpine Dolomites, è stato uno dei primi a capire che per andare a salvare le vite di chi era in difficoltà tra le vette era necessario andarci in volo. Con gli elicotteri per la precisione. Una storia importante, fatta di missioni, salvataggi, sorrisi, abbracci e strette di mano. E fatta di riconoscimenti, l’ultimo il più importante più o meno un anno fa, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che lo ha nominato ufficiale della Repubblica, «Cavaliere del bene» per la dedizione e l’umanità con cui da sempre fa soccorso alpino. Quasi un eroe, anche se guai a dirglielo: «Ma che eroe! Io sono un contadino. Allevo vacche e vitelli e faccio yogurt e formaggio in una malga a duemila metri…». Ma il soccorso alpino è un po’ la storia della sua vita, di uno che è nato e cresciuto tra le Dolomiti. Anche se la passione per la montagna è scoppiata dopo, quando da ragazzo studiava a Bolzano e ha cominciato a frequentare il Cai. Prima guida alpina, dal 1985 capo del soccorso alpino della Val Gardena: «Perché la passione era quella lì – racconta -. E volontario del soccorso perché sentivo che era necessario fare anche qualcosa per gli altri». Di lui raccontano che abbia cambiato il modo di portare aiuto in alta quota: «No, io non ho inventato assolutamente nulla – spiega -. Quando abbiamo cominciato per le missioni utilizzavamo gli elicotteri militari con cui non era davvero possibile arrivare ovunque in montagna. Mi sono guardato intorno, sono andato a vedere come si erano organizzati svizzeri e francesi che nella gestione dell’emergenza erano più avanti di noi e mi sono reso conto che dovevamo organizzarci. Perché tanti anni fa ogni valle faceva il soccorso per conto proprio e invece le forze andavano raccolte». Così nasce Aiut Alpine Dolomites, una onlus che mette insieme i volontari della Val Gardena, della Val di Fassa, della Val Badia e dell’Alpe di Siusi. Una onlus senza scopo di lucro che però funziona in modo più organizzato e che oggi conta su 17 squadre e 300 volontari che garantiscono un’assistenza praticamente continua. Nascono le squadre pronte al decollo: un pilota, un medico anestesista, un soccorritore volontario, e un tecnico verricellista a cui in inverno si aggiunge anche un’unità cinofila da valanga, perché in quelle emergenze sono il tempo e la tempestività a fare la differenza. E poi gli elicotteri. «Sì, certo. Come le ho detto gli elicotteri militari per questi servizi non erano adatti, servivano mezzi più leggeri, più maneggevoli con caratteristiche specifiche per il soccorso tra le montagne. Che a volte sono davvero complicati, obbligano ad operazioni con i cavi lunghi anche centinaia di metri, con spazi di volo molto, molto ridotti». E in anni di decolli, di voli, di funi calate e di recuperi a volte quasi impossibili quelli di Aiut Alpine di vite ne hanno salvate tante. Il numero esatto non c’è, ma basta dare un’occhiata al sito per far due conti e per capire che settecento missioni ogni anno fanno più o meno diecimila persone riportate a casa. Ma non c’è routine: «No, mai. Certo un po’ ci si abitua, molte missioni diventano quasi una normalità anche perché da qualche tempo noi di Aiut Alpine Dolomites facciamo parte dell’elisoccorso provinciale con il coordinamento del 118 quindi facciamo interventi non solo in alta montagna. Però poi capita sempre l’intervento più difficile. Di arrivare da una persona che magari non ti aspettava più, non ci credeva più. E allora uno sguardo, un sorriso, una mano che ti stringe ti ripaga di tutto». Interventi di inverno ma anche d’estate. La maggior parte degli incidenti e delle situazioni di rischio in alta quota si verificano fondamentalmente perché la gente sottovaluta le condizioni climatiche, la neve e il vento. «L’alta montagna è un mondo a sé dove tutto succede molto più velocemente che altrove – spiega Kostner -. Di inverno ma anche d’estate, in poche ore una giornata di sole e senza nuvole può trasformarsi nell’esatto contrario. Anche il cambio delle stagioni è più veloce. Ora in molte città è autunno con temperature che in alcune giornate sono quasi estive. Da noi, se va sopra i duemila metri, è già inverno pieno. Sa che per le valanghe in questo mese ci sono già stati sei morti? Ci sono valanghe anche a novembre perché a certe altezze anche se c’è poca neve il rischio è alto. Anzi forse di più perché spesso il vento accumula la neve in piccoli canali ghiacciati e basta un niente perché venga giù tutto». E poi spesso chi va in montagna si improvvisa, non è all’altezza. O pensa di esserlo che forse è peggio. «Devo dire che rispetto a 40 anni fa chi si avventura in montagna oggi lo fa con una consapevolezza completamente diversa e con attrezzature più adatte. Però il rischio c’è sempre per tutti. L’escursione sicura al 100% non esiste. Esperienza, preparazione fisica e buonsenso permettono di ridurre di tanto le percentuali di rischio…». E il buonsenso viene prima di tutto. Non esiste il consiglio perfetto. Ogni giorno, ogni passeggiata, ogni scalata possono presentare un inconveniente: «La regola è non strafare – avvisa Kostner -. Il coraggio non è andare avanti ma saper tornare indietro, la montagna va rispettata». In missione non ha mai avuto paura. Forse qualche volta, anche se per chi si alza in volo tra le vette la paura è un ottimo alleato quando si impara a dominarla: «In realtà ciò che mi fa davvero paura è il mare – confessa -. Non è il mio posto. Anche quando sono stato a Roma a ritirare l’onorificenza ero l’unico uomo di montagna premiato. Me lo ha fatto notare anche il presidente…». Mattarella che l’estate scorsa è tornato a trovarlo nella sua Baita di Sanon che gestisce con sua moglie, i suoi quattro figli e i sette nipoti: «No, non tutti. Molti hanno preso altre strade…». E qualcuno la sua: «Il più grande forse farà il volontario – dice con un pizzico d’orgoglio -. Fa l’elicotterista ma per noi non è ancora pronto. I nostri piloti per andare in missione devono avere alle spalle almeno tremila ore di volo. È una nostra regola. E vale per tutti…».

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