La notizia è di un paio di giorni fa. Che poi è incredibile come nello scorrere  delle agenzie di stampa ce ne siano alcune che tornano e ritornano. Cicliche, quasi  te le aspettassi. Ma non è questo il punto parlando di doping. La cronaca racconta che i poliziotti di La Spezia  hanno arrestato un infermiere di 51 anni per traffico di medicinali  “dopanti” utilizzati da persone legate all’ambiente del ciclismo amatoriale . Le indagini  della squadra mobile, spiega il mattinale della questura, hanno permesso di accertare che lo stesso si avvaleva nella gestione dell’illecito traffico della collaborazione di altri sportivi tra cui il  proprietario di un’attività commerciale specializzata nel settore ciclistico già squalificato per doping nel 2008. L’arrestato, un 51enne ciclista  infermiere presso il reparto di  oncologia di un ospedale della città, era in grado di soddisfare le richieste delle sostanze vietate formulate da numerosi atleti.  Una dose di Epo veniva venduta a 200 euro e molte delle confezioni di farmaci dopanti trovate dai poliziotti risulterebbero sottratte proprio dal reparto dell’ospedale, visto che di tratta di medicinali che non si trovano in commercio ma  vengono somministrati  a pazienti ricoverati o assistiti a domicilio  per le terapie tumorali.  Tra gli indagati anche  il dirigente di una società sportiva di Forli.  Cambiano nomi e città ma è tutto purtroppo già detto e già scritto in attesa di scriverne ancora al prossimo blitz tra qualche mese. Va così. Il doping non è  una piaga tecnica o sociale. Il doping è una cultura.  Ci si dopa per andar più forte, per vincere un premio nella strapaese, per vincere un prosciutto, per battere gli amici del bar, per sentirsi forti e fighi? Sì, ci si dopa anche per questo. Fa impressione leggere i verbali di arresto e trovare parole come “sportivi”,  “atleti”, “amatori”.  Parole vuote,  vaghe,  fuoriposto. Ma la degenerazione non è nel ciclismo ma nel modo in cui tanti, non tutti per fortuna, oggi interpretano questo sport. Fissati, depilati, griffati, incistati, patetici nel credere  che a 40, 50, 60anni  basti una pastiglia o una fiala sottratta magari a chi ne ha davvero bisogno per sopravvivere al tempo. Ma è tutto ciò che gira intorno che alimenta questa cultura deviata. A cominciare dai premi, dai piccoli sponsor che credono che mettere il proprio nome sulla maglia di un cinquantenne che va sul podio nel criterium tal dei tali possa avere un benchè minimo ritorno d’immagine. L’immagine purtroppo è questa. Basta classifiche, basta premi, basta podi con passerelle di “bolliti” con il cervello fritto e le pupille dilatate.  Le granfondo diventino feste di sport, le classifiche si facciano magari solo su qualche strappetto in salita così la sfida con gli amici ha un tempo su cui sfottersi, gli sponsor provino ad investire tutto il poco che resta nelle garette dei ragazzi che spesso si fa fatica ad organizzare.  E il resto diventi materia per procuratori e giudici penali com’ è successo a La Spezia, dove il ciclista col “ricco palmares nelle granfondo” è stato  arrestato  con le accuse di peculato aggravato e cessione e utilizzo di sostanze stuepfacenti. Ed ora è ai domiciliari.