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L’anno scorso pioveva, questa notte sarà più clemente. Dolce come sanno essere solo le notti d’estate, notturni dall’andamento lento a volte andante, dense di profumi e di fatica. Dodici ore sulla pista di Monza. Dodici ore a girare in tondo, a contare i giri, ad aspettare un cambio, un caffè caldo, una brioche o un massaggio. A fare i conti con i propri pensieri aspettando una scia oppure facendo tutto da sè. Perchè arriva sempre in bici il momento delle scelte. Scegliere se stare in gruppo, veloci e protetti oppure sfidare l’aria, il vento in faccia, perdersi nel buio di un asfalto nero che di notte nasconde i segni dei pneumatici delle auto ma anche qualche insidia. Dodici ore di Monza e fanno tre. Tre edizioni di una gara che qualcuno corre per vincere tanti, la maggiorparte, per regalarsi una notte dove si parte da ciclisti e si arriva da eroi, comunque vada. Con quel pizzico di retorica che non guasta, anzi serve per raccontare una sfida che non è di tutti i giorni, che è un po’ magica, che serve a rinserrare i ranghi, a rinsaldare amicizie, a regalarsi un’emozione  nel tran tran di una vita di chilometri, di allenamenti, di gare tutte uguali, Dodici ore in pista sono la voglia di esserci. La voglia di partecipare, di tuffarsi in un gruppo che nasconde tutte le anime di uno sport che ognuno interpreta seguendo la traccia dei propri cromosomi. Veloci, fissati, depilati, competitivi e impallinati ma anche lenti, resistenti, pazienti e un po’ improvvisati. C’è posto per tutti e c’è un traguardo per tutti. C’è un’impresa da portare al traguardo al di là dei tempi e delle medie. Basta andarsela a cercare. Basta immaginarla o anche sognarla. Come scrive Remo Sacchi ,  un pezzo di storia nel nuoto di sempre, nel libro uscito in questi giorni che racconta i 40 anni della DDs di Settimo Milanese “Non sopporto chi non sogna…”. E a Monza il sogno è a portata di mano. Basta scendere in pista e cominciare a pedalare…

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