aruFabio Aru in giallo è quello che ci voleva. E’ il sogno, il premio, la caparbietà e la magia di un gesto che vola in alto e tutti sanno dove va.  E’ lo “schiaffone” ai francesi che vincono sì la tappa con Romain Bardet ma che domani dovranno, volenti o nolenti, dedicare lo spazio che merita a quell’italiano che in generale mette tutti dietro anche se di pochi secondi. E sembra di sentirla la voce roca di Paolo Conte che canta Bartali…Il giallo di Aru è come il giallo di Vincenzo Nibali con tutte le coincidenze del caso. Ovviamente incrociando le dita.  E’ l’acume di un gran direttore sportivo. E’ il sorriso schietto di un ragazzo d’oro, da tener da conto perchè è già patrimonio azzurro. E’ il riscatto di un’isola che è terra di valori e il ciclismo, qualsiasi cosa se ne dica, è uno sport dove i valori contano ancora. E’ il giallo di un ragazzo che ha fatto studi classici e che ha la testa per diventare un campione anche se un po’ (parecchio) forse già lo è.  Sono le gambe che girano agili mentre quelle di Chris Froome si impastano sull’ultimo strappo di Peyragudes sui Pirenei.  Sono gli sguardi, gli occhi che si incrociano e che si studiano, le squadre che si frantumano, il team Sky che fa un’andatura assurda dall’inizio alla fine, i grandi campioni che saltano, i re che abdicano, le promesse che svaniscono. E’ solo una vittoria che conta ma in reltà non conta perchè la strada è ancora lunga, perchè il keniano non è uno che molla, perchè in un minuto sono in cinque, perchè il Tour è il Tour e  non finisce mai.. Il giallo di Aru sono i politici che saltano sul suo carro, che si accorgono che il ciclismo esiste quando uno dei nostri conquista il Tour. Che poi però se ne dimenticano in fretta, che non si chiedono perchè i giovani non pedalano più , che non capiscono che servono più sicurezza, piste, velodromi. Il giallo di Fabio Aru è un pomeriggio incollati alla tv, come con la nazionale ai mondiali di calcio,  aspettando che succeda quello che tutti immaginano e che un po’ accade. Ma solo un po’. Il giallo di Aru è il giallo del ciclismo di oggi, tutto calcoli, vattaggi, algoritmi e cardiofrequenzimetri sempre accesi, immanenti e dominanti. Tutto sotto controllo,  niente colpi di testa, niente atti di coraggio, nessuna fuga romantica. Niente di niente. Tutti con gli occhi fissi sul computerino, aspettando via radio l’ordine di scattare, di provarci, di osare. Calcolo su calcolo, dove due più due deve fare quattro, dove al cuore si comanda e dove il tappone dei Pirenei, sei colli da scalare, finisce allo sprint.  Tutti in fila, messi in colonna da campioni costretti a fare i gregari,  che scalano le montagne a trenta all’ora in una processione velocissima e che però non strappano applausi. C’è tutto ma non tutto. Manca il pathos per come lo intendeva la retorica greca: la potenza drammatica del gesto, dell’azione anche irresponsabile  che sfocia nell’impresa o nella resa,  che racconta l’epica, che non prende ordini, che infiamma. Manca l’azione che la va o la spacca, che fa saltare tutto il banco, che può andare benissimo o malissimo. E pazienza. Il resto (tutto il resto) c’è tutto ed è ciò che ci voleva. Ma è come se mancasse qualcosa…