faraCome una finale di Champions, come un derby, come Juve-Inter.  Lo stadio olimpico di Londra fa il pieno con l’atletica ed è un bel vedere che fa un po’ invidia. Spettacolo nello spettacolo.  Fa il tutto esaurito con le semifinali e la finale dei 100 metri dove Usaim Bolt  cede lo scettro a Justin Gatlin  che  comunque si inchina proprio all’ultima replica, proprio alla fine di una carriera che resta immensa, che non si scalfisce di nulla con questa sconfitta. E si riempie con la decima medaglia d’oro Mohamed Farah ancora campione del mondo dei 10.000 metri nonostante le chiacchiere, nonostante le malelingue, nonostante tutto. Ma forse Bolt e Farah non c’entrano. Forse  l’olimpico di Londra si sarebbe riempito lo stesso anche con un altro mondiale e con altri attori, con un europeo, con una serata del Grand Prix. Così come si riempiono regolarmente gli spalti di Wimbledon o il Velodromo per una kermesse in pista, per l’ora di sir Bradley Wiggins. Sono strani questi inglesi che non si infiammano solo per la Premier, che restano attaccati più che possono ai loro riti quotidiani, alle loro regine, ai loro principi con gli impermeabili beige che vanno in pensione a 94 anni? Forse. O forse no. O forse siamo strani noi che facciamo fatica a pensare che lo sport sia uno spettacolo che non  va oltre palloni, moviole, polemiche e campanili? Troppo facile. Di solito in questi casi si dice che è una questione di cultura. Cultura sportiva che non c’è.  Ed è un po’ come dire, quando succede qualcosa che non sappiamo spiegare  che è colpa della società. Come buttare la palla in fallo laterale quando non sappiamo a chi passarla. Poi però uno che vive e lavora a Milano pensa che Londra è lì ad un’ora e mezza d’aereo. Che non c’è tanta distanza.  Pensa che Piazza Affari e il centro del business proprio come per  la City,  pensa che Milano e Londra sono due grandi città, tra le più importanti al mondo, vive, vivaci, frizzanti e controverse come tutte le metropoli attuali. Pensa e ripensa tutte queste cose. Poi però guarda i mondiali di atletica e si rende conto che a Milano. anche volendo, non ci sarebbe un posto dove ospitarli. Ma a pensarci bene non ci sarebbe un posto neppure dove ospitare un mondiale di nuoto e neppure un mondiale di ciclismo o un record dell’ora. Già non c’è posto. Non c’è un posto. E forse la differenza è tutta qui…