L’11 agosto di tre anni fa se ne andava Robin Williams. Un pezzo di storia del cinema, un pezzo di storia nella vita di una generazione. Robin Williams ciò che appare e ciò che è. Ciò che uno  immagina e ciò che scopre. Ciò  che uno si costruisce nella mente e poi gli viene portato via. Non si dovrebbe mai smaniare per conoscere i propri eroi. Robin Williams è stato un grande attore. Grandissimo secondo me. Talmente importante da segnare alcune tappe della mia vita. Mork, nei pomeriggi del ginnasio,  il professor John Keating  poco dopo l’università, mrs Doutbfire visto e rivisto con i miei tre figli. Ma altro ancora perchè da “Good Mornig Wietnam” a  “Will Hunting”, da “Jumanji” a “Una notte al Museo” la sua carriera  è un piccolo testamento .  E poi lo sport, passione delle passioni. Dal baseball al ciclismo, dalle sue 52 biciclette Bianchi nel garage di casa alle  tappe al Tour sull’ammiraglia della Discovery Channel del suo amico Lance Armstrong. Un altro eroe che dalla mia bacheca è volato via.   “Uno di noi” scrivevano in tanti tre anni fa nel giorno della sua morte su Facebook e Twitter.  Neanche per sogno. Un eroe, un mito non è mai uno di noi. Guai se lo fosse. Così bisogna resistere alla tentazione di entrare in confidenza, di scoprirne le virtù, di indagare sulla sua quotidianità. Ci si deve accontentare di ciò che appare. Ci si deve innamorare di ciò che la prova d’attore suggerisce alla tua mente. Perchè ti permette di sognare e di immaginare ciò che tu vuoi che sia. Un gesto, una frase, la scena di un film così si fissano nella mente e lì’ restano per sempre. Perfette, vergini, come tu le vuoi, come vuoi che sia la tua storia. Senza le contaminazioni di una realtà che è sempre differente, cruda, normale. Che è quella di tutti noi, più o meno fortunati. E che può nascondere depressione, alcol, cocaina e chissà cos’altro che però non mi interessa. Così l’addio di Robin Williams non è l’addio del “professore” che conosco io. Che ha fatto girare e rigirare nella mia testa, ma chissà in quella di quanti altri, quel “carpe diem” che Orazio forse intendeva con una sfumatura un po’ diversa. Lui se n’è andato ma Keating resta. Per tutti quelli ha fatto sognare.  Per tutti quelli che si sono commossi.  Per tutti quelli che quel motto se lo sono scritti su un’agenda o sul diario di scuola. Per tutti quelli che oggi hanno 40 o 50 anni ma non hanno ancora perso la voglia e il coraggio di salire in piedi su un banco. Se serve. E allora: ” Esultino le sponde e suonino le campane, Capitano, mio Capitano…”