fiLa polemica è di quelle evergreen e l’ “uscita di sicurezza” che il ministro  Valeria Fedeli vorrebbe imporre ai ragazzi delle scuole medie rilancia il dibattito. Alleviamo bamboccioni?  Figli bamboccioni, alunni bamboccioni  e atleti o bamboccioni?  Molti, tantissimi in queste ore, spiegano che andare a prendere degli adolescenti davanti alle scuole significa esattamente questo: un ragazzo a 12, 13 14 anni deve essere libero di tornare a casa da solo perchè così  impara ad autodeterminarsi e perchè sempre così è stato visto che, tanti anni fa, si tornava a casa da soli anche alle elementari. Può essere. Però rispetto a vent’anni fa  città, paesi, strade sono cambiati. Non sono ciò che sono oggi e non è solo una questione di traffico. Vent’anni fa a 12 anni si scendeva in cortile a giocare fino a sera, ci si sbucciava le ginocchia arrampicandosi sugli alberi senza batter ciglio, ci si menava senza che le chat delle mamme impazzissero. Oggi invece si cresce in casa e con lo smartphone si comunica, si fanno i compiti, si gioca e ci si innamora. Stiamo crescendo una generazione sicuramente più sveglia e intelligente ma forse meno allenata a fare i conti con la vita della strada, meno pronta a difendersi da ciò che può accadere nella vita reale che non è una schermata da resettare o da far scorrere con un clic se le cose si mettono male. Per questo credo che andare a prendere i figli a scuola non sia scandalo: ci sta che non ci si fidi a farli tornare a casa da soli se nel tragitto, la dove una  volta c’erano vita, attività, negozi, campi e contadini al lavoro, oggi ci sono solo degrado e prostitute. Anche perchè  non è per questo ( solo per questo) che si allevano bamboccioni.  Prendiamo lo sport, tanto per fare un esempio  A che età un bimbo va lasciato solo in uno spogliatoio? Risposta ( la mia): subito. A cinque o sei anni un “pistolino” è perfettamente in grado di cavarsela da sè e pazienza se esce con una calza sì e l’altra no, con i capelli un po’ bagnati o la canottiera messa al contrario. E invece basta fare un salto in un qualsiasi spogliatoio di questo Paese per capire quanti danni facciano mamme e papà tanto servizievoli, tanto premurosi, tanto ( troppo) apprensivi. Seconda domanda: a che età un bimbo che fa sport deve essere in grado di farsi la borsa? Risposta (sempre la mia):  subito. La borsa di un atleta è sacra. Non c’è mamma, papà, nonna zia o sorella che ci debba mettere naso e mano. Dentro alla sacca ci deve finire tutto  l’indispensabile per un allenamento o per una gara. E fin da piccoli i bimbi devono capire che quella è una loro “responsabilità” e che se dimenticano scarpe, costume, pantaloncini o maglietta è solo peggio per loro. Non devono avere alibi, non devono pensare che se arrivano in campo senza scarpe o in piscina senza costume la colpa sia di “mammà” che avrebbe dovuto pensarci. E a dirla tutta  così poi imparano anche a non scordarsi le cose che male non fa. Terza domanda: a che età un bimbo deve imparare che un allenamento non si salta anche se fa freddo, anche se piove, anche se c’è il nebbione? Risposta: ( ancora la mia) subito. Nonostante l’apparente fragilità i “pistolini” sono molto più resistenti di quanto si creda. Si ammalano più a stare in casa davanti alla tv che non allenandosi all’aria aperta. Ma il fatto di non saltare gli allenamenti li aiuta anche a capire che se uno prende un impegno lo mantiene. E non ci sono scuse. Così prima di indignarsi con un ministro che ha fatto ciò doveva fare, cioè tutelare presidi e professori che sono i suoi “dipendenti”, sarebbe il caso di riflettere anche su queste cose. Poi parliamo di bamboccioni.