stravaPiù di ogni parola. Può una mappa, all’apparenza incomprensibile, spiegare al mondo che oggi chi si muove in bicicletta occupa, e sottolineo “occupa”, una buona fetta delle strade del mondo? Auto, camion, moto, caravan ma anche le bici. Tante, non so se sempre di più, ma comunque tante. A testimoniarlo sono i tanti segni rossi nel mondo, in Europa, in Italia, in Lombardia, a Milano, nei comuni e nelle più piccole frazioni del pianeta. Sono i tanti segni rossi lasciati da chi pedala ogni giorno su Strava, , l’applicazione su cui molti ciclisti ( quindi neanche tutti)  ma anche runner caricano quotidianamente i loro tragitti o i loro allenamenti. Un mare di chilometri che Strava Labs ha aggiornato allo scorso anno dopo l’ultimo punto registrato nel 2015.  In due anni i dati raccolti e pubblicati sono sei volte di più. Un miliardo di attività registrate, 27miliardi di chilometri percorsi e tante macchie rosse che dimostrano più di ogni numero che la bici, i ciclisti, fanno parte di un sistema di mobilità che è tutt’uno, non una parte, non una fazione, non una categoria. Non ci sono automobilisti, motociclisti e ciclisti gli uni contro gli altri armati per difendere spazi o prerogative. C’è una strada su cui tutti hanno diritto di andare in sicurezza. Con questa realtà  si devono fare i conti. Che non è una realtà di vie riservate, di ciclabili, di permessi, di divieti e zone franche. E’ una realtà e basta e questo è il dato di partenza, è il punto da cui si comincia, che spegne qualsiasi rivendicazione di precedenza, di diritti, di imposte pagate che poi vien da ridere a pensare che si possa tutto ridurre a un bollo quando tanti (quasi tutti) poi sono aumobilisti, motocilisti o ciclisti insieme .  Chi ha più diritto di percorrere una strada? Chi è più numeroso? Chi è più grosso? Chi è più veloce? Chi è più ricco?  Chi è più prepotente o arrogante? Centinaia di punti di domanda a cui i numeri, le strisce rosse di Strava,  i troppi incidenti e le troppe vittime sono forse già una risposta.  C’è un’insulsa guerra in corso  che amministrazioni, governi, media devono contribuire a disinnescare. Come non so, ma credo che la proposta di Alex Zanardi che si è offerto come testimonial per una campagna di sicurezza possa essere un’idea. Alex è uno ma sono tanti i campioni e i volti noti che si possono “arruolare”. Si fanno campagne per qualsiasi cosa, tanto vale provare. Che poi è ovvio che non basta però aiuta.  E servisse anche solo a spegnere un telefonino e a  risvegliare un briciolo di buonsenso sarebbe già una vittoria…