fuerteFuerteventura è terra o meglio mare di surfisti che a cavalcioni sulle loro tavole aspettano l’onda per alzarsi in piedi e cavalcarla. Siamo sulla stessa latitudine della Florida e del Messico, ma molto molto più vicini  e speciale in questo è la Playa de Jarugo, a Puerto del Rosario, una “playa peligrosa e sin vigilancia”, come indica il cartello, ma comunque molto frequentata dai temerari surfisti e non solo. Ma Fuerteventura è anche terra di corridori, terra di runner che amano la fatica, le lunghe spiagge, le luci morbide di albe e tramonti e il vento in faccia.  In Italia è già freddo, qui è ancora e sempre estate. E per correre il clima è ottimo in questo scorcio di tardo autunno: sole sì, ma non cocente e  la brezza a rinfrescare il sudore, Pochi giorni fa si è corsa la terza edizione della  la Fuerteventura to Run,   gara a tappe di 60 km che la Zitoway Sport and Adventure organizza in terra spagnola e che al via ha visto tra gli altri la collega di Triatlete Silvana Lattanzio. Che ci racconta i suoi 60 chilometri di tenacia…

 

 

Eh sì, è quella che ci vuole per tenere duro e portare a termine , più precisamente nell’isola iberica più “africana” che ci sia, coi suoi soli 97 km che la separano dal continente, ma siamo alle Canarie, in compagnia delle altre belle isole quali Tenerife e Lanzarote. E’ arida, vulcanica con le sue pietre nere a testimoniarlo, spolverata dalla sabbia del vicino Sahara che il vento trasporta lì, fino a formare delle spiagge d’incanto, specie nella parte orientale. E’ qui che si tiene (che si corre) l’ultima delle quattro tappe della competizione: la Medio Maraton Dunas de Fuerteventura, quella che mi ha fatto più soffrire, quella che mi ha fatto “scalare” tutte le marce che avevo fino ad andare fuori giri, tutto in prima, tutto in riserva. E mentre imprecavo tra me e me salendo e scendendo in continuazione da bianche dune sabbiose, tipo deserto del Sahara che non mi aspettavo, mi sgridavo dicendomi che quel nome, quel “Medio Maraton Dunas” avrebbe dovuto darmi qualche chiara indicazione sulla natura del percorso. O almeno qualche sospetto. Ma riavvolgiamo il nastro e partiamo, com’è giusto che sia, dall’inizio.

1^ tappa, Majanicho, 9 km, 120 m di dislivello. In modo autonomo (ma con un “capo-carovana”), con le auto e attraverso una strada panoramica, si raggiunge un piazzale in riva al mare, gli occhi si riempiono di azzurro, l’arco è pronto e noi runner pure. Ecco il via. La vista del mare acquieta lo sforzo, ma presto lo sterrato piega verso l’interno, il vento cala, il sudore aumenta. Ma per fortuna i chilometri non sono poi così tanti, come pure il saliscendi è moderato, e si arriva a varcare la finish line tra gli applausi degli spettatori e di chi è già arrivato (che, nel mio caso, sono tanti).

2^ tappa, Tindaya, 14 km, 180 m di dislivello. Qui lo spostamento dal nostro villaggio è un po’ più lungo di quello del giorno prima (circa 26 km invece che 9) e anche qui, come in tutte le tappe, per prima si dà il via ai camminatori. Bella questa formula per i walkers, che può coinvolgere molte più persone di chi proprio podista non è. Qui il percorso è, al contrario del giorno precedente, con partenza all’interno del territorio per poi sbucare sul mare, così, d’improvviso. Da tuffo al cuore.

3^ tappa, El Roque, 12 km, 188 m di dislivello. A circa 16 km di trasferimento, il ritrovo è sulla strada che da Lajares va a El Cotillo e dopo i camminatori, ecco che danno il via anche a noi, e qui oggi non è troppo semplice: ci sono delle colline (quasi montagnette) che vanno scollinate due volte e l’interno arido si presenta alle nostre fatiche senza fare sconti.

4^ e ultima tappa, Medio Maraton Dunas de Fuerteventura, quella dura di cui vi parlavo (anzi, vi scrivevo). A questo punto, l’organizzazione Zitoway Sport and Adventure si “aggancia” alla manifestazione del posto, la sua mezza maratona, che come partecipanti raggiunge i 400 podisti. Della fatica vi ho già detto, della bellezza ancora no. I luoghi che si attraversano sono incantevoli: sabbia bianca su pietre nere, e quella vista costante (dopo l’11° km circa) sull’azzurro del mare. Beh, va bene, arranco, ma ne vale la pena. Arranco fino all’ultimo chilometro, quello d’asfalto, dove i miei piedi finalmente trovano il terreno duro e compatto del bitume e allora le spalle si raddrizzano, la falcata si allunga, lo sguardo si alza. E l’arrivo è lì, a portata di mano, ed è mio.

( foto: Barbara Brighetti)