Già l’hanno ribattezzata tassa sul sudore. E un po’ è così anche se non del tutto. Sta di fatto che d’ora in poi chi vorrà pedalare la domenica mattina per mettersi alla prova in una delle tante gare e garette ciclistiche sulle strade del BelPaese e non è tesserato per la Fci o per alcuni enti di promozione sportiva affiliati , dovrà pagare 25 euro per ottenere una “Bike card” che a nulla serve se non a portare nelle casse della Federazione ciclistica italiana qualche soldino. La Federazione ha già messo le mani avanti spiegando che serviranno ad incentivare l’attività giovanile, il sospetto è che andranno a riempire quel buco da circa due milioni che fa brillare di rosso i conti federali del ciclismo. Chi vivrà vedrà. Però un po’ “girano” e non solo per i 25 euro. Girano perchè tra certificati, tessere, iscrizioni, tesserine aggiuntive e permessi oggi far sport è diventato sempre più difficile e per iscriversi a una gara si compilano più moduli e scartoffie che non per chiedere un fido in banca. Complicato e costoso  Senza contare infatti il costo delle gare che è lievitato  in modo a volte ingiustificato, oggi un ciclista o un podista che si voglia togliere lo sfizio di correre una maratona, una mezza o una granfondo deve mettere sostanziosamente mano al portafoglio. Si paga per il necessario certificato medico che però,  se fatto per il ciclismo non vale per l’altletica e viceversa anche se la visita è esattamente la stessa; si paga per iscriversi alle società; si paga per la Runcard e ora anche per la Bikecard. E c’è da scommetterci che altre card per altri sport arriveranno.  Tecnicamente la strada seguita dalla Fci è la stessa strada tracciata un paio di anni fa dalla Fidal, la federazione di atletica, che ha imposto per tutti i podisti della domenica tesserati per gli enti di promozione sportiva l’obbligo della card federale,  una gabella di una trentina di euro  per poter correre maratone, mezze maratone e garette varie. Liberi di pedalare e correre ma non troppo insomma. Chè è un po’ la filosofia “deviata” che sta alla base di una cultura dello sport che si fa di tutto per non promuovere. Non per buttarla in politica,  ma  la sensazione è quella di vivere in Paese del vecchio socialismo dove non si è più liberi di scegliere come e quando fare qualcosa, lo sport in questo caso. Dove c’è un obbligo ( e un’imposizione fiscale) per ogni scelta, dove domina uno Stato burocrate che tende a spremere ogni attività e ad alimentare un sistema di corporazioni ( le federazioni ) che autonomamente non hanno forza e risorse per sopravvivere. Per questo più che una tassa sul sudore la Bike card mi sembra una vera tassa sulla libertà.