biancheTiesj Benoot ha vinto la dodicesima edizione delle Strade Bianche. E’ la sua prima vittoria da professionista e a 23 anni potrebbe anche essere un segno del destino. Da Siena a Siena, dalla Fortezza Medicea a Piazza del Campo, 184 chilometri per un arrivo in solitaria. Come una volta, come spesso succede in questa che è la classica del Nord più a Sud dell’Europa. Primo davanti a Romain Bardet e a Wout Van Aert, uno che ha già vinto tre tappe  al Tour e che quest’anno corre per arrivare in giallo a Parigi e un altro che è il campione del mondo di ciclocross . Ciò che fa la differenza nelle Strade Bianche è che è una corsa di altri tempi, una via di mezzo tra una Roubaix e un Fiandre che potrebbe corrersi anche a Frittole nel 1400, quasi 1500.  Duecento chilometri facendo i conti con gli sterrati in un tempo dove il gruppo è abituato a fermarsi  se non trova strade asfaltate di fresco.  Facendo i conti con la  polvere se non piove oppure nel fango senza fare un plissè. Duecento chilometri che si possono disegnare solo tra le colline toscane, tra vigne e contrade che sanno d’antico, tra storia, casali. filari cipressi alti, schietti, giovinetti…. E non a caso  si arriva in piazza del campo che  è il simbolo del Palio. Altra storia che profuma di tempi andati. Duecento chilometri che andrebbero corsi con le vecchie maglie di lana, altrochè i body. Duecento chilometri dove il cambio elettronico è solo un impiccio.  Dove la squadra conta ma la differenza la fa chi in bici sa fare, osare e carambolare. Dove la fatica torna ad essere antica. Come usa nel ciclismo. Che per un giorno si dimentica il gel sui capelli, i tatuaggi, i calzini griffati a mezzo polpaccio e  il loook giusto per i selfie sui social. Tutto cancellato dal fango, da un inizio di marzo che Burian ha riavvolto ai primi di gennaio. Tutto scritto sulle facce di ragazzini che sembrano invecchiati improvvisamente di vent’anni. C’era un volta il ciclismo eroico e da queste parti c’è ancora. Parlano le immagini. Si dice spesso così. Ma a volte le immagini dicono qualcosa di più, dicono che il ciclismo è una storia che torna e che non finisce mai. Già sentita un milione di volte ma ogni volta diversa, rinnovata nelle smorfie, negli applausi, nelle bici, nelle strade lucide di pioggia, nei fari delle ammiraglie che riflettono, nelle cerata colorate degli spettatori, nella fatica di chi è in fuga e di chi rincorre, negli arrivi e nelle partenze in Piazza del campo come all’ultimo giro di un Palio dove le bici stanno in piedi a fatica e sembrano cavalli all’ultimo giro.