giova«Invecchiando si diventa più saggi e più lenti e bisogna farsene una ragione…»: regola 42 del suo ultimo libro, come i chilometri di una maratona, 195 metri compresi. Giovanni Storti, il Giovanni del trio con Aldo e Giacomo, è una ventina d’anni che corre: in montagna, nel Monferrato, in città ma anche nei deserti, sulle Ande, alle falde del Kilimangiaro dove pensava di trovare i Watussi, nella Valle della Morte tra California e Nevada. Insomma, ha fatto forse più chilometri che film, il che la dice lunga… «Ho iniziato a 40 anni dopo aver letto un libro di Pietro Trabucchi sulla resilienza e non ho più smesso – spiega -. La corsa anche nella vita mi ha insegnato come si fa a resistere. Certo, con il tempo che passa molto è cambiato perché anche la corsa invecchia e nulla sarà più come prima».

Così anche se la mente dà gli ordini ma il copro ci mette sempre più tempo a rispondere ai comandi e se la sgambata sotto il temporale sempre più spesso diventa l’occasione per sdraiarsi sul divano con una tazza di tè… «Niente panico, si continua a correre». Che è poi il titolo del nuovo libro che ha scritto con il suo compagno di corse il giornalista Franz Rossi, seguito di quello scritto dai due cinque anni fa «Corro perché mia mamma mi picchia…», sempre edito da Mondadori. «Sì, si continua magari lasciando il cronometro a casa e abbinando lo sport a un viaggio – spiega Giovanni – per scoprire nuovi posti, godersi la compagnia di qualche amico e in qualche caso anche la solitudine».

Gli anni passano e si diventa più filosofi e saggi? «Più o meno – racconta -. Se saggio è correre a 53 gradi nella Death valley per seguire un amico che sta correndo la BadWater, l’ultramaratona più dura del mondo…». Così, come scrive «Giacomino» Poretti nella prefazione del libro, molti uomini di una certa età si mettono a «camminare, anzi a correre, pericolosamente sull’orlo di un abisso…». Spesso, dopo una vita passata seduti tra uffici, ristoranti e divani a guardare la tv o a inviare whatsapp cominciano «a sentire un odorino di cadavere intorno a sé e allora cercano di porre rimedio alle arterie ormai occluse» correndo una maratona, scalando un 5mila senza assistenza, pedalando all’avventura da Milano a Tropea.

Vale per molti. Non per Giovanni Storti: «Corro tre, quattro volte la settimana e fino a qualche anno fa andava tutto benissimo. Poi mi sono accorto che la mente ti spinge oltre il limite che il tuo corpo può permettersi e allora uno diventa più meditativo. In realtà corriamo per non sclerare…». Il tempo passa ma si continua a fare progetti: «Con Aldo e Giacomo – spiega – stiamo preparando un nuovo film che dovrebbe uscire l’anno prossimo. Per il resto in programma ora ho una corsetta in Puglia a Carovigno dove, per la presentazione del mio libro hanno organizzato una garetta di 12 chilometri: prima e ultima l’hanno chiamata. Poi mi piacerebbe fare un’incursione nella serata organizzata a Milano da un gruppo di fan del trio che hanno una pagina facebook dove si parla solo con le nostre frasi. Però per entrare nel gruppo si deve rispondere esattamente a tre domande sui nostri film e io ne ho sbagliate due. Quindi mi toccherà imbucarmi…».

Correre in montagna ma anche pedalare? «No, in bici mi piace solo muovermi in città – spiega – anche se quest’estate ho fatto un viaggio da Vienna fino a Milano. Tre settimane con mia mamma che continuava a telefonarmi: Ma quand’è che te rivet…?. L’ho trovata alla Darsena che mi aspettava e sventolando la bandiera dell’Italia e quella dell’Inter…». Milano c’è quasi sempre nei suoi film, c’è nella vita di tutti i giorni: «Prima correvo alla Montagnetta che è il luogo dove si ritrovano tutti i runner di questa città poi ho cambiato casa e ora corro al Parco Sempione. Qui ci si divide in tribù: quelli che corrono all’alba, quelli della pausa pranzo, della sera e della notte, quelli che vanno piano e quelli che si ingarellano. E io, se capita qualcuno che mi supera anche se con gli anni mi sento più saggio, sono una di quelli che si ingarellano…». Appunto.