maraProprio alla fine. All’ultimo respiro, all’ultimo chilometro, metro, centimetro. Alan Marangoni dopo 25 anni in bici, dopo 11 anni da professionista senza una vittoria, dopo oltre 130 mila chilometri pedalati in giro per il mondo , dopo chissà quante gare corse in retrovia a ricucire, a prendere vento in faccia, a tirare per gli altri  finalmente alza le braccia al cielo. Primo. Primo per la prima e per l’ultima volta perchè, per il 34enne della Nippo-Fantini, lo sprint vincente dopo una fuga nel tour dell’Isola di Okinawa era l’ultima tappa della sua carriera. Fine. Senza ripensamenti, senza rimpianti anche se vincere è tutta un’altra cosa. Un premio o forse un atto di giustizia ad una carriera in cui la parola d’ordine è stata sempre mettersi a disposizione: “Non sono mai riuscito a vincere- spiega a Repubblica- Anche se nel Giro 2015, nella tappa di Forlì, sono arrivato quarto su quattro nella fuga dietro Boem, Busato e Malaguti. Lunghe fughe sempre o lunghe tirate per i compagni. Andare a fondo, spianare la strada per i vari capitani che ho avuto, da Sagan in giù, e poi mollare…” . Una vita a “menare” e poi farsi da parte.  Una vita a dar tutto, a seminare per gli altri  ma senza raccogliere: ci vogliono gambe ma soprattutto testa. Ma a volte il destino ti aspetta per darti la ricompensa che ti sei conquistato. E alla 714 corsa arriva lo sprint di Marangoni, arriva la fuga che vale tutto. Quello che non ti aspetti, che hai sognato una vita, che è l’ultimo atto di una carriera che si chiude qui. Neanche a pensarlo un finale così… “Una favola” che tra qualche settimana a Cotignola in Romagna avrà il suo lieto fine con  una festa organizzata dai suoi tifosi.  Alan Marangoni tra i grandi ciclisti di una terra che sui pedali non si arrende mai e ha fatto storia: “Siamo gente che dopo morto fa ancora tre salti…”