trieFa quasi sempre danni la politica quando s’intrufola nello sport, soprattutto se all’orizzonte ci sono scadenze elettorali. E allora succede che a Trieste la mezza maratona che si correrà nel prossimo week end, evento storico perché eredità della famosa «Bavisela» per anni una delle classiche del podismo italiano, si trasformi in una «zuffa» furibonda che finisce in Parlamento, quello sì vero sport nazionale. La scintilla che scatena il finimondo è la decisione degli organizzatori della Miramar di non ingaggiare gli atleti africani per la gara. Apriti cielo. Volano gli stracci e le parole, alcune davvero pesanti. Troppo pesanti: razzismo, apartheid, epurazione, maratona sovranista. C’è chi scomoda il Ku Klux Klan, chi addirittura Hitler. Brividi.  In realtà lo sport, la maratona in particolare, sfugge a queste logiche. È una delle forme più alte di democrazia che si possano ammirare e applica uno ius soli tutto suo da sempre, esempio lampante di come razze, etnie, popoli e Paesi si confondano senza discriminazioni nella comune fatica della corsa. Ma per capire questo molti politici lo sport dovrebbero farlo più che parlarne. Dovrebbero cercare di capire le logiche degli ingaggi che molte organizzazioni ormai non possono più permettersi o ascoltare il presidente della Miramar, Fabio Carini, che ha spiegato che la decisione di non ingaggiare atleti africani serve a dare un segnale contro il loro sfruttamento. Che c’è, esiste. È un vaso di Pandora che andrebbe scoperchiato rifuggendo le solite logiche buoniste. Chi appena un po’ conosce il mondo delle maratone sa perfettamente che, a fronte dei grandi campioni che corrono a New York, Londra, Parigi, Boston o alle Olimpiadi e che si affidano a manager seri e di livello c’è un esercito di modesti «faticatori della corsa» che viene ingaggiato per gare minori, a prezzi irrisori e che molto spesso, dopo aver ceduto premi e proventi, viene abbandonato al suo destino. Tratta dei maratoneti, dice qualcuno e non si va molto lontani. Non sono pochi i casi e la scelta di Trieste, è maturata infatti proprio dopo che lo scorso anno un atleta keniano si era ritrovato in città a fine gara senza documenti né soldi e che proprio la Miramar aveva provveduto poi a far rientrare in patria. Non solo. Non è la prima volta che ciò accade, perché una decisione simile lo scorso anno era stata presa nella mezza maratona di Lucca, città a guida Pd tra l’altro, e il problema dello sfruttamento degli atleti africani già negli anni scorsi era stato preso in considerazione dalla Federazione che ieri per voce del suo segretario Fabio Pagliara ha chiarito subito che vigilerà e che nello sport non ci possono essere nè razzismo, né sfruttamento. Ma la politica fa una corsa a sé, forse troppo veloce e precipitosa, trascurando i dettagli. Uno su tutti. Trieste non ingaggia atleti africani ma non vieta a nessun atleta, di qualsiasi parte del mondo, di iscriversi e correre. E che comunque qualche invito verrà fatto. Quindi?