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«L’astronave è atterrata… Bentornato Palalido». Il sindaco Giuseppe Sala tira un sospiro di sollievo: ci sono voluti quasi dieci anni per riportare alla luce un Palazzetto storico che ora, con il nuovo logo di Allianz, diventa anche un gioiello di funzionalità e modernità. Milano ringrazia e il sindaco pure e lo fa cominciando dai suoi assessori e dai consiglieri «perché spesso si parla male dei politici- spiega – ma a Milano la politica ha il pregio di essere pragmatica e se le cose funzionano…». Sarà. Però si poteva far prima anche se, dopo aver superato incagli e ritardi, il nuovo Palalido c’è ed è ciò che conta.

 

«Spero che chi giocherà qui pensi, almeno per un secondo, a cos’ è stato il Palalido, cosa ha rappresentato per questa città. Pensi a Rubini a Gamba, a Brumatti, a Bariviera…». E ovviamente a tutti gli altri, da D’Antoni a McAdoo a Dan Peterson che qui vinse l’ultimo scudetto. E ovviamente pensi a Dino Meneghin che in via Stuparich ha scritto una storia che non finisce più ed ora è qui sotto canestro ad ammirare il nuovo Allianz-cloud. Un posto e una leggenda che comincia alle 17.30 di un pomeriggio del 1960, dopo la partita a San Siro, quando si giocava solo la domenica e quando dopo il calcio ci si trasferiva di corsa a vedere il basket al Palalido. Una storia che comincia, e forse non è un caso, proprio con Simmenthal-Ignis, la madre di tutte le partite: «La prima volta che entrai al Palalido avevo 15 anni -ricorda Meneghin- e fu per vedere un derby tra Simmenthal e all’Onestà. Poi ci tornai da avversario con Varese e mi ricordo soprattutto i fischi…». Ma durarono un amen. Bastò cambiar maglia per far nascere una delle più grandi storie d’amore sportive. Scarpette rosse, Innocenti, Cinzano, Billy, Tracer ma non solo scarpette rosse perchè sul parquet del Palalido giocarono anche All’Onestà, la Mobilquattro, la Xerox, «derby» da cardiopalma, di grandi rivalità, da tutto esaurito sempre, da bagarini davanti ai cancelli. Derby vinti e persi molti per mano di Chuck Jura, lo sceriffo del Nebraska che resta l’uomo che al Palalido ha segnato più di tutti, più di 4 mila punti, un’infinità. «Ora c’è l’aria condizionata- racconta Meneghin- Una volta era una fornace. Quando tornammo a giocare qui i play-off dopo il crollo del Palasport ricordo ancora la scena di Premier che ai supplementari stava battendo un fallo laterale. Era sfatto e dietro di lui c’era una signora bionda che gli faceva aria con un foglio di carta…». Ma il Palalido per Milano è stato anche tante altre cose. Il contenitore perfetto di un mondo e di una città che forse oggi non ci sono più. A cominciare dal tennis elegante di Rod Laver e dai primi colpi di un giovanissimo Roger Federer e dalle mitiche riunioni di boxe che negli Anni Settanta tenevano mezzo Paese attaccato alla tv. Al Palalido conquistarono il mondiale dei pesi mosca Franco Udella contro il messicano Valentin Duende Martinez e Giovanni Parisi contro il portoricano Sammy Fuentes. Ma ci furono anche i pugni eroici di Vito Antuofermo che ne uscì sconfitto e ci furono Umberto Branchini e Rocco Agostino agli angoli e Nino Benvenuti e Carlos Monzon in platea. Storia. Che è anche diventata musica. Qui negli Anni 70 hanno suonato i Rolling Stones e Lou Reed e finì con scontri e cariche della polizia. Qui ha suonato James Brown e qui ha suonato Francesco De Gregori che venne processato sul palco da un gruppo della sinistra parlamentare che gli rinfacciava di aver chiesto un milione per suonare, cosa inconcepibile per un compagno. Poi ci furono i tempi del Dalai Lama e anche quelli del Ramadan. Su e giù dal palco per fare la storia. Per scrivere pagine importanti anche della nostra politica. Come quella firmata dieci anni da Silvio Berlusconi quando il Palalido aprì le porte al Popolo delle Libertà: il cavaliere demolì il programma del Pd di Walter Veltroni definendolo «carta straccia». E così fece strappando davanti a settemila persone alcuni fogli di carta. C’era una volta il Palalalido ed ora c’è di nuovo. Da domani si ricomincia…