dia«Qualche anno fa per uscire dalla propria zona di comfort forse bastava fare una maratona. Ora che è la corsa è diventata un fenomeno quasi popolare, per distinguersi molti sentono l’esigenza di imprese ancora più estreme. La motivazione è sempre la stessa: interrompere la routine di una vita spesso con impegni di lavoro stressanti e di responsabilità cercando qualcosa di estremo che gratifichi soprattutto se stessi». Simone Diamantini, già tecnico di una spedizione olimpica azzurra nel Triathlon ed ora coach responsabile della DDs di Settimo Milanese, di atleti che hanno portato a termine imprese che vanno alla ricerca del limite ne ha visti parecchi. Atleti che lo fanno di mestiere e che quindi hanno un preciso obbiettivo agonistico ma anche persone in buona forma fisica che nella vita fanno tutt’altro ma di punto in bianco decidono che è arrivato il momento di alzare l’asticella: «La molla scatta per i motivi più differenti – spiega -, perché ci si vuole mettere alla prova in un campo che non è il proprio, perché si cerca una via per uscire da una quotidianità che a un certo punto va stretta o perché si vuole dimostrare a qualcuno di cosa si è capaci. E in questo senso la vetrina dei social gioca spesso un ruolo fondamentale perché un’impresa diventa tale solo se è fotografata, postata e condivisa». E il fatto di essere dei super atleti non è una condizione necessaria: «Certo aiuta ma non sempre è così – spiega Diamantini -. Ci sono persone che si avvicinano a certe imprese di punto in bianco, che non hanno nessun curriculum sportivo e che magari hanno scoperto lo sport in tarda età. C’è una scintilla e così ci si prova spesso sottovalutando il rischio che esiste anche se per molte persone l’aspetto agonistico legato alla prestazione non c’è, limportante è solo arrivare in fondo». Dalla maratona si passa quindi alla maratona nel deserto, dalla garetta in bici alla garnfondo dolomitica o alla randonnè da 4 o 500 chilometri, dalla passeggiata in montagna alla scalata di una vetta o a un Ironman: «In questo senso il marketing di molti circuiti sportivi ha giocato un ruolo decisivo – spiega Diamantini – il messaggio che è passato in molte manifestazioni estreme è che non vince chi arriva primo, i primi tre o i primi dieci ma vincono tutti. Anche l’ultimo, anche chi arriva oltre il tempo logico di una prestazione sportiva. L’importante è esserci, arrivare in fondo, poter dire di averlo fatto».ARuz