sderAlberto Contador lo vedi da dietro. Anche oggi che non corre più, però corre lo stesso. Lo vedi che se ne va  sulla prima rampa del Selvino in Val Seriana, un tiro di schioppo da Bergamo, salita delle salite per molti da queste parti che qui hanno la fortuna di venire a pedalare anche in pausa pranzo.  Se ne va perchè è ovvio che va via e non ci provi nemmeno a stargli a ruota. D’accordo è un gioco.  E‘ una mattinata che serve a provare le nuove bici della Trek che a valle ha aperto una nuova sede italiana che sembra di essere a Waterloo, nel Wisconsin, dove tutto è cominciato. Che è un’ottima occasione per fare un po’ di pubbliche relazioni, per far finta di fare gli atleti, per divertirsi. Ma non ha senso neanche provarci a seguire il pistolero. Come fai a stare a ruota a uno che ha vinto un paio di Tour, un paio di Giri, che sul Tourmalet, sullo Stelvio, sul Mont Ventoux ha dettato legge?  Come fai a inseguirlo anche se è chiaro che non spinge, che non è più come prima, che ora è tutta un’altra storia. Infatti non si può e il gioco finisce lì. Cinquecento metri di salita e ognuno per la sua strada, ognun per sè e Dio per tutti.  Ci si vede in cima. Ci si vede in paese per due chiacchiere e un caffè. Magari per un’intervista, dopo le tv, dopo il web, dopo i siti perchè la carta stampata non posta, non tagga, non linka ma insegue. Prova a “resistere”. Tanti anni in mezzo,  gambe diverse,  talenti diversi, storie diverse,  non cambia nulla. Davanti, di fianco, da dietro fare una salita con Alberto Contador è sempre un sogno per uno che ha il mal di ciclismo e non c’è verso di venirne a capo.  Sembra di essere al Tour.  L’hai visto mille volte in tv scattare e andarsene. L’hai visto mille volte suonarle a tutti, alzarsi sui pedali e salutos  a todos.  Non cambia nulla. Non è cambiato nulla. Qualche anno è passato ma lo stile è lo stesso, stessa danza, stesse smorfie. Uno, due, tre cinque, sette,  tornanti. Vanotti, Fidanza, l’ingegner Pinotti, Belli, Corti,  Giupponi, Guerini e Gianbattista Baronchelli,  un campione una curva, tutti bergamaschi. Così l’hanno intitolato il Selvino, così l’hanno fatto diventare la salita dei ciclisti, nonostante il traffico, nonostante le macchine. Sei quasi sù e provi a guardare se vedi qualcuno, se lo trovi ma chissà dov’è. E allora continui smanettando sul cambio elettrico  che è un giochino meraviglioso ma soprattutto un lusso a cui non sei abituato. Ne mancano tre di tornanti. Passi quello del Falco Savoldelli e quello di Ivan Gotti che fanno quattro Giri in due, e dopo una rampetta che gira a destra vai verso l’ultima svolta, il tornante numero Uno dedicato a Gimondi. Non è un caso. Felice è gloria nazionale qui e ovunque. Felice è Felice e così sarà per sempre. Lo sa anche Contador che si ferma, si toglie il casco e sta qualche secondo per fatti suoi proprio a fianco di un mazzo di fiori che un tifoso ha portato fin quassù. ” La foto aqui…”, la foto la facciamo qui par di capire. E il gruppetto che arriva alla spicciolata quasi per miracolo si ricompatta. Non servono tante parole, intendersi è un attimo. Selvino è sù ad un paio di chilometri, il tempo di arrivare e girarsi perchè c’è un aereo per la Spagna che non si può perdere. E allora in discesa si fa sul serio, più che in salita. E’ un’ altra tappa del Tour e stavolta provi a restare in classifica, provi a seguirlo, a tenergli una ruota che pennella le curve e riparte ad ogni tornante girando a doppia velocità. Dieci chilometri in un amen, poi il falsopiano verso Bergamo sperando ogni tanto di beccare un rosso o uno stop per tirar fiato. Trovi anche il modo per chiedergli chi vincerà domani il Lombardia, ma è solo una scusa per prendere tempo: ” Roglic, Bernal e ovviamente NIbali…”. Tre nomi, tre secondi. Poi a tutta, via di nuovo: “bang, bang…”