C’è chi la maratona ce l’ha nel cuore, chi nella testa e chi ( beato lui) nelle gambe. La corsa resta sempre la corsa,“la prova lampante dell’esistenza di Dio, come il verde brillante della prateria…”. Perchè siamo un po’ tutti Bufalo Bill.  Ma senza bisogno scomodare troppo De Gregori, la corsa resta la prova lampante di quanto a certe persone piaccia soffrire. Molto spesso è un tormento anche solo pensare di prepararla una maratona. Certo, si fatica anche a nuotare e a pedalare ma la corsa è sempre un conto a parte. Salato, salatissimo, un dolce tormento che ti assapori metro dopo metro, chilometro dopo chilometro. E te ne accorgi all’improvviso. In una  mattina come quella di oggi,  nebbiosa e fredda come solo la Pianura padana sa regalare in un inverno dove, anche sulle piste da sci, splende un sole da 19 gradi. Qui no.  Abbiategrasso, Morimondo, Casorate sono il triangolo delle Bermude delle nebbie. Alle sette del mattino giri l’angolo e ti infili in un muro dove sembra non ci sia più scampo, dove i fari della tua auto provano invano ad aprirsi un varco e dove è umido, ma talmente umido che i tergicristallo girano sulla posizione “tre”. Ci si smarrisce un po’, si rischia di perdersi, di scomparire.  Sembrano tutti fantasmi quelli che corrono. Li vedi tra i campi, tra gli sterrati dove si affonda nei solchi lasciati dai trattori, sugli argini delle rogge e che ti passano via sudati e silenziosi. La voce del verbo “tapasciare” si coniuga solo al presente. E tra la prima, la seconda, la terza persona non ci sono grandi differenze. Fatica uguale per tutti perchè venti, venticinque, trenta chilometri di freddo, di fango e qualche su è giù,  qualcosa vogliono pur dire. C’è chi se la chiacchiera e chi se la racconta, c’è chi fa qualche ripetuta, chi allarga il giro perchè “oggi ho in tabella il lungo della maratona”, chi se la gode ai ristori e c’è chi fila via veloce perchè il permesso scade alle dieci e mezzo e tra i doveri di un capofamiglia c’è anche quello di far fare i compiti ai bambini. Banalità quando si hanno un paio di scarpe da corsa ai piedi. Banalità a cui  però bisogna trovare il modo di dare una spiegazione convincente a casa dopo la doccia. E serve tutta la buona retorica del mondo per essere compresi. Però la corsa resta. La tua “dose” ti dà la soddisfazione di aver fatto la cosa giusta, la migliore che potessi fare. E’ un premio al coraggio, alla costanza, alla voglia di non darla vinta alla pigrizia, al freddo e alla nebbia. Anche perchè poi la nebbia si alza e spunta il sole. E il rimpianto non è il migliore dei sentimenti…