dieIl problema sono droplet e  sudore: un metro, due, cinque, forse anche dieci o venti. In bici ai tempi del coronavirus in scia non si può stare, bisogna stare parecchio lontani. E’ come in certe gare di triathlon, “no draft” si chiamano  che poi è la stessa cosa che in italiano.  Ma, rischi di contagio a parte, c’è chi in scia non ci sa stare. Troppo vantaggio. Ci si mette in coda alla bici davanti e si va più veloci di ciò che si è capaci, si sfrutta la fatica degli altri. Comodo. Invece nelle corse dove la scia non c’è si impara  a fare i conti solo sulle proprie forze. E’ un patto, si sa prima. Ed è un bell’esercizio fisico ma soprattutto mentale perchè quando si è soli si ha più tempo per pensare. Ti girano un sacco di cose nella testa. La fatica  aiuta a metabolizzare i pensieri. E’ un circolo vizioso: si pensa per non pensare alla fatica.  Ma non si sta in scia non perchè è scritto in un regolamento, perchè ci sono i giudici, per la paura di un cartellino rosso. Non si sta in scia per scelta, per coerenza, perchè alla fine la classifica è quella che ognuno sa, non quella che posta sui social.  E quasi una filosofia non stare in scia. Che poi c’è una scia in bici e c’è una scia nella vita. Ci si accoda, si segue sempre qualcuno che fa cose per te, pensa per te, decide per te, amministra per te. Spesso è un fatto di pigrizia. Ma  mettersi in scia non è delegare: è arrendersi. Come scriveva Fabrizio De Andrè  la scelta  coraggiosa non è stare a ruota ma andare sempre “in direzione ostinata e contraria…”.  E ora più che mai. E’ un bell’allenamento, l’occasione perchè diventi anche una bella abitudine…