Quando c’è lo Stelvio c’è lo Stelvio.  Non è un caso, forse è destino. Da qualsiasi parte si salga lo Stelvio resta la montagna  del Giro, dei ciclisti. E’ la montagna di Fausto, è la cima Coppi. Lassù è scritta la storia e chi ama pedalare prima o poi ci  andrà. E’ la salita più difficile anche se ce ne sono tante altre che sono peggio. Perchè si sale a quasi tremila metri e perchè sono quasi 26 chilometri. Sta al ciclismo come Wembley al calcio,  Wimbledon al tennis. E’ un romanzo a sè perchè ha sempre qualcosa in più da raccontare. E’ sempre speciale pedalare qui e succede sempre qualcosa. Succede ad esempio che questo Giro d’ottobre numero 103  all’improvviso si rianimi, cancelli per un pomeriggio tutte le ansie, i numeri dei contagi, le paure per ciò che nei prossimi mesi potrebbe capitare. C’è lo Stelvio e  tutto tace. Parlano, tra i tornanti imbiancati dalla neve, le facce di Joao Almeida che si arrende e lascia la sua maglia rosa sul traguardo dei laghi di Cancano, quella di Rohan Dennis che si sfinisce per riportare in classifica il suo nuovo capitano  Teo Geoghegan Hart, quella di Vincenzo Nibali che paga un altro dazio ad una stagione storta o forse  agli anni che passano. Si parlano ma forse non si capiscono anche Wilco Kelderman e Jai Hindley , compagni di squadra, compagni di avventura, compagni di una classifica che ora li vede primo e secondo, amici-nemici di un ciclismo un po’ troppo moderno che fa in fretta a dimenticarsi delle gerarchie, dei ruoli, dei patti e forse anche del buonsenso. Un “capolavoro” tattico quello della Sunweb.  Avrebbero potuto chiuderlo qui il Giro. Avrebbero potuto arrivare sui laghi di Cancano con un distacco rassicurante su Hart se solo il giovane  Hindley avesse aspettato il suo capitano anzichè lasciarlo da solo e senza ammiraglia a 40 chilometri dal traguardo. Kelderman invece  ha dovuto cavarsela da sè e in qualche modo se l’è cavata. Tappa e maglia si dice in questi casi. Ma il rischio è che a Milano in rosa ci arrivi qualcun altro, magari proprio Hart che ora è a 15 secondi e a cronometro va più forte di tutti e due. Ci voleva lo Stelvio per infiammare un Giro che a ottobre rischiava di congelare.